E poi più nulla

 


L’ultima cosa che vide fu un lampo di luce, molto simile ad un’esplosione. Sentì un dolore fortissimo ma brevissimo che si dissolse immediatamente. Poi più nulla, salvo un fischio acuto che continuò per circa trenta secondi, una sola nota che diminuiva di volume come un apparecchio a cui è stata tolta l’energia e si sta spegnendo. Si trovò subito dopo in piedi in mezzo alla strada, si guardò intorno, un nuvola di fumo inodore avvolgeva tutto e si stava diradando piano piano. Nessun rumore, silenzio assoluto e immobilità di ogni cosa visibile. Un chiarore neutro proveniva dall’alto, senza che fosse possibile individuarne la fonte, uniforme come quella dei grandi ambienti commerciali, costellati di miriadi di lampade a led montate sopra ad un vetro opalino. Sembrava una fotografia tridimensionale che avesse bloccato tutto ciò che si muoveva al momento dello scatto. Un gabbiano stava planando sul mare. Due scie rettilinee e parallele partivano dalla punta delle ali formate dal pulviscolo umido dell’aria, e davano il senso del movimento anche se movimento non c’era.

Finalmente riuscì ad individuare più chiaramente i contorni delle cose, il fumo si diradò sempre di più e cominciò a intravvedere due sagome informi, distanti tra loro, erano le carcasse di due veicoli. Tra l’una e l’altra vetri rotti, pozze di liquido indefinibile e macchie d’olio. Andò verso la più vicina, era un’auto incredibilmente distrutta, a un punto tale che bisognava fare uno sforzo per capire che tipo di veicolo fosse. Guardò meglio e più da vicino, un terzo liquido usciva lentamente dalle lamiere, era rosso, rosso sangue. Tra ciò che restava del tessuto dei sedili intuì la forma di un corpo, talmente malconcio da non riuscire a capirne nemmeno il sesso. Si chinò, si mise in ginocchio e cercò di cambiare angolazione alla visuale. Rivolta verso il basso, incastrata tra le razze del volante c’era la testa. L’urto era stato talmente violento da rendere completamente inutile l’airbag, perché era evidentemente esploso vanificando la sua funzione. Anche se la scena era irreale perché priva di suoni, odori e movimenti d’aria, si fece coraggio, la persona coinvolta poteva essere miracolosamente ancora viva e a quel punto avrebbe dovuto darsi una mossa e fare qualcosa. Lacerò e spostò come poté qualche pezzo di ciò che era stato un pallone gonfio d’aria, fino a scoprire il volto della vittima, non ci volle molto e una volta compiuta questa operazione si butto all’indietro con un forte colpo di reni. Conosceva quel volto, era il suo.

Non c’erano altri ragionamenti da fare, quell’atmosfera sconosciuta, quello scenario drammatico e quel volto gli dicevano che era appena morto. Si sedette sull’asfalto e la prima cosa che gli venne in mente fu:

« Ma allora è così che succede, muori ma resti vivo. Non ci sei più ma vedi tutto. Vedi addirittura te stesso. »

Quello che lo stupiva di più era che dopo quel disastro non sentiva nulla, nessun dolore, nessuna sensazione, piano piano realizzo che nemmeno respirava più. Si sforzò di ricordare cosa fosse successo. Intanto un elemento troppo evidente non tornava, poco prima del lampo abbagliante stava guidando ed era di notte, ora invece tutto era chiaramente illuminato da quella luce strana. Cercò di ricordare ancora. Non era un’ora troppo tarda, stava rientrando a casa dopo una normale giornata di lavoro. Si era trattenuto a prendere un aperitivo con un amico incontrato per caso. Niente di troppo alcolico, ma quella diversione era bastata perché venisse buio, ora saranno state le nove o giù di li. Non stava nemmeno andando veloce, era tranquillissimo e perfettamente sveglio. Si ricordò che stava ascoltando alla radio un programma d’attualità e stava facendo qualche ragionamento sulle opinioni del conduttore circa l’ultima manovra finanziaria, era autunno e quello era uno degli argomenti del giorno. Non aveva nessuna fretta, perché sapeva che moglie e figli sarebbero rientrati anche loro un po’ oltre la solita ora, per questo se l’era presa comoda. Si rese conto con sgomento che l’incidente era avvenuto senza che lui nemmeno se ne accorgesse, senza che potesse fare il benché minimo gesto per evitarlo. Anzi non si era neppure accorto che stava per succedere. Certo che se non fosse stato per quell’aperitivo, forse…

Per farsene una ragione si alzò e si diresse verso l’altro veicolo, che l’urto probabilmente frontale aveva allontanato di almeno quaranta metri. Mentre percorreva quel tratto notò un altro particolare circa l’incongruità dell’ambiente. Il fumo ormai era scomparso del tutto e l’orizzonte del campo visivo si era allargato. Poteva vedere che poco lontano dall’incidente, c’erano altri veicoli ma erano anche loro immobili. Raggiunse l’altro ammasso di rottami, probabilmente un furgone. Questa volta il viso del conducente era immediatamente individuabile e assolutamente sconosciuto. Una smorfia di terrore ne alterava i lineamenti. Si concentrò sui particolari cercando di farsi un’idea della meccanica dell’incidente, l’unica cosa che riuscì a ipotizzare è che quel disgraziato si sia distratto, o addormentato e poi svegliato all’ultimo secondo, e gli sia piombato addosso uccidendo lui e se stesso. Indossava abiti da lavoro, ormai intrisi di sangue. Era probabilmente l'addetto di una ditta di spedizioni, uno di quelli che corrono tutto il giorno perché più consegnano e più guadagnano, e più guadagnano e meglio riescono ad arrivare a fine mese. Forse anche lui stava “vivendo” la stessa scena, forse capita a tutti ma ad ognuno per conto suo, in privato.

Per quanti sforzi facesse non riusciva a decidere nulla sul da farsi. Aveva pensato di cercare un cellulare, per provare a vedere se era completamente isolato dal mondo e se qualcosa funzionava ancora. Ma sia il suo che quello dell’altro erano probabilmente schizzati chissà dove con la violenza dell’urto. Decise allora di muoversi verso casa pur sapendo che era ancora lontana, era però sempre stato un buon camminatore e in ogni caso non vedeva cosa sarebbe potuto cambiare rimanendo fermo in quel posto.

Passo accanto a un’auto, di lusso. La persona che guidava era vestita con molta ricercatezza, era sovrappeso e probabilmente i suoi abiti erano fatti su misura. La giacca sbottonata lasciava vedere il ventre obeso e due iniziali ricamate sulla camicia. Orologio d’oro al polso e fermacravatta. Sulla mano sinistra che reggeva il volante aveva un anello con una pietra preziosa, la destra armeggiava con l’autoradio. Lo sguardo era fisso sulla strada, corrucciato e temibile come quello dei rapaci. Nonostante la mole l’aspetto nell'insieme era quello di un combattente, che vive in continua lotta ogni attimo della sua giornata.

Poi trovò un’altra auto. Il conducente era tranquillo, rilassato ma concentrato. Era sulla quarantina, longilineo e aveva l’aspetto sereno di chi non ha problemi o di chi ha imparato a gestirli molto bene. Era vestito elegante ma non in modo costoso, con un buon accostamento di colori e in modo estremamente pratico. La macchina e l’abbigliamento non lasciavano intuire un tenore di vita particolarmente brillante, ma in quello sguardo attento alla strada si leggeva l’appagamento di chi ha trovato la felicità lo stesso, senza affanni e senza l’accumulo paranoico di ricchezze. Sul sedile accanto aveva alcuni oggetti personali, il telefonino, un blocco per appunti e una penna. Sul pavimento appoggiata al sedile c’era una borsa da lavoro. Anche lui probabilmente aveva finito la sua giornata e se ne stava tornando a casa tranquillo.

Continuò e incontrò un motocarro piuttosto malandato, di quelli che ormai non fanno più ma i pochi esemplari rimasti resistono ancora, più per mancanza di alternative di chi li possiede che per robustezza. Infatti il conducente era male in arnese almeno quanto il suo veicolo. Portava una giacca lisa e stropicciata. La camicia a quadroni aperta sul collo lasciava intravvedere un colletto poco pulito. Il volto era pieno di rughe, le mani dure di calli e sporche di chi fa qualunque lavoro. Lo sguardo era spento, rassegnato. Attraverso quegli occhi dovevano essere passate tutte le brutture della vita e l’aspetto in se dava l’idea di chi non l’ha fatta ancora finita solo perché ha ancora il peso sulle spalle, di gente disgraziata quanto lui da mantenere alla bell’e meglio. Nel cassone del veicolo c’era qualche corda e una cassetta di attrezzi. Immaginò che fosse una specie di tuttofare, disposto a percorrere qualunque distanza col suo trabiccolo, pur di mettere insieme ciò che gli serviva per tirare avanti.

Cammina cammina cominciava a sentire le gambe pesanti, aveva inoltre la sensazione che quella luce si stesse affievolendo. Non riusciva a smettere di pensare alle vite così diverse delle persone che aveva appena incontrato, due agli estremi e una nel mezzo. Non aveva dubbi sul fatto che quella di mezzo rappresentasse la condizione ideale, una sorta di equilibrio, quello sguardo così sereno e appagato era invidiabile e parlava da solo. Era lo sguardo del giusto per così dire, non di chi è completamente senza problemi ma nemmeno di chi pur non avendone se li crea da se. Gli venne naturale paragonare la sua di vita a quelle tre situazioni. Anche lui aveva volato nel mezzo per tutta la sua esistenza, ma senza lo stesso appagamento. Era sempre stato un eterno insoddisfatto, sempre pronto a lamentarsi per ogni inconveniente, quasi a piangersi addosso. Aveva rimpianto spesso il passato e a lungo rimuginato sulle sue scelte sbagliate. Probabilmente questo atteggiamento pessimista gli aveva anche logorato la salute e chissà, forse se non fosse stato per l’incidente la sua vita sarebbe stata comunque quasi alla fine. Anche lui, come certamente quei tre individui, aveva ancora i suoi pesi da portare e non si poteva permettere di tirare i remi in barca. Ma la vita è così, pensò, non tutti sono dotati d’intelligenza brillante e non tutti sono dotati di semplice volontà. C’è chi riesce ad appassionarsi al suo lavoro, per quanto modesto possa essere, e grazie a quel dono riesce a condurre un’esistenza felice. Chi invece si lascia sopraffare dalle fatiche anche più modeste, affonda nella noia e finisce per ubriacarsi di invidia per il prossimo.

Si chiese cosa sarebbe successo a quel punto. La fine se l’era aspettata diversa, o meglio aveva sempre pensato a due uniche soluzioni: o la vita eterna previo esame meritorio, o il buio improvviso e assoluto come lo spegnersi di un interruttore. La stanchezza aumentava, la luce ormai ne era certo si affievoliva sempre di più. Pensò che forse stava attraversando una sorta di periodo transitorio, una pausa di riflessione per riordinare le idee e fare un bilancio prima di passare definitivamente all’aldilà. Sperava comunque di riuscire a raggiungere casa, sperava che i suoi fossero già rientrati per poterli rivedere un’ultima volta, anche se immobili come statue di sale. Ma no, si accorse che non ce l’avrebbe fatta, la luce si spense del tutto lasciandogli un ultimo pensiero che rimbombava come un eco:

« Che vita inutile ho fatto, quanto tempo ho sprecato. »

L’odiosa suoneria elettronica si mise a strillare come tutte le mattine alla stessa ora, puntuale come una cartella della tasse. Lui diede una manata sul comodino per farla tacere ma la maledetta sveglia volò via rimbalzando sotto al letto. A quel punto non poté fare a meno di alzarsi, anche se avrebbe dovuto farlo comunque in un modo o nell’altro. I primi pensieri appena rimesso in moto il motore erano ogni mattina una sorta di agenda:

« Vediamo un po’, ieri mi è successo questo e quest’altro, in pratica è stata una giornata di merda. Oggi ho quell’appuntamento e poi mi dedicherò a quella rogna che cerco di sistemare da quattro giorni. Insomma anche oggi non è che prometta molto bene. »

Andò in bagno, fece per prima cosa quello che fanno tutte le persone normali e poi si posizionò davanti allo specchio. Evitò di sputarsi in faccia anche se la tentazione era forte e cominciò a farsi la barba. Nel frattempo qualche apparecchiatura di controllo dentro di lui si era già riaccesa, cominciava a ragionare anche se il normale numero di giri da velocità di crociera lo avrebbe raggiunto solo dopo il caffè. Mentre si ripuliva pensò:

« Stanotte devo aver sognato, ne sono certo, era certamente un incubo perché mi ha lasciato un senso di sgomento. Per fortuna come tutti i sogni svanirà in fretta e poi non mi ricorderò più nulla. »

17 ottobre 2017


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