Quarantesimo


Cara Tittì

Quando si decide di scrivere una cosa qualunque, che sia una lettera, una relazione, o un racconto, ci vuole un minimo di ispirazione, è vero per i grandi scrittori come per i cialtroni come me. L’ispirazione non è altro che un idea, all’inizio vaga che piano piano prende forma.

Così quando ho pensato che quest’anno sarebbe stato carino buttare giù un pensiero per il nostro anniversario di matrimonio ho temporeggiato un bel po’ dicendomi “tanto c’è tempo”. Ma poi stava per finire anche quello, quindi sono passato al piano B, mi sono seduto e ho cominciato a scrivere, chissà forse mi sarebbe venuta qualche idea strada facendo. Non è passato molto prima che mi venisse il panico. Ma come ultimamente m’è venuta la mania di scrivere un po’ di tutto e ora proprio su questo non mi viene nulla? Sarebbe stato troppo imbarazzante ammetterlo anche solo con me stesso.

E se fosse proprio questo il senso di tanti anni passati insieme? Forse è diventato talmente normale che non si ha nulla da dire. Il sole quando sorge lo fa e basta, quando tramonta pure. La vita continua nonostante le brutture del mondo, il mare si agita, il vento soffia, gli esseri viventi nascono e muoiono. Su questo grande meccanismo, indubbiamente pieno più di belle cose che di brutte, infatti non c’è molto da dire. Anche perché quando ci proviamo nonostante le nostre arie da esseri evoluti, in fin dei conti non ci abbiamo ancora capito un tubo. Accade e basta, secondo un copione che se ci piace ha un regista divino, sennò ne ha uno naturale altrettanto grandioso da ammirare e rispettare.

L’amore è un alchimia non meno complessa dell’universo, infatti anche su questo non è che ci abbiamo capito molto. Due esseri si incontrano e per qualche motivo si piacciono e si attraggono. Simpatia, fiducia, stima, ammirazione o sesso? Certamente niente di tutto ciò in particolare ma tutto quanto insieme. La vera magia però è quando la ricetta è equilibrata e funziona a lungo, talvolta non finisce mai.

Visto? Basta mettersi a scrivere. Vediamo un po’, di solito si comincia con “La prima volta che ti ho visto” oppure con “Era una notte buia e tempestosa”. Scegli tu perché per me calzano entrambi. In effetti tutte le volte che cerco di ricordare la prima volta che ti ho visto non posso fare a meno di pensare alla banchina di una stazione in una fredda mattina d’inverno, anzi c’era ancora buio pesto, quindi era ancora notte. Nessuna tempesta però, una leggera nebbiolina avvolgeva tutto, peraltro abbastanza rara dalle nostre parti. Non vorrei esagerare, ma mi pare che allora circolasse ancora qualche locomotiva a vapore, quindi c’era una atmosfera perfetta. Diciamo stile dottor Zivago cosa vuoi di più? Io ero già sul treno dietro un vetro appannato e tu correvi sul marciapiede, in ritardo anche allora come lo sei sempre stata. Fu un colpo di fulmine?


Certamente non doveva essere esattamente la prima volta che ti vedevo, in un piccolo centro come il nostro ci si conosce un po’ tutti e infatti avevamo un sacco di amici in comune, solo che evidentemente non ti avevo ancora notata. Era un lunedì, e tu sai di che umore posso essere di lunedì, alle sei di mattina poi... Andavamo a scuola, quel treno io lo prendevo tutti i giorni, tu invece solo ad inizio di settimana è per questo che sono sicuro del giorno. Se ho quell’immagine in testa evidentemente la cosa almeno per me cominciò li, però rimase latente fino all’estate successiva. Finché durò la scuola del resto occasioni per vederci ne avevamo avute poche, finché un giorno… beh quello te lo devi ricordare anche tu.

Passarono tre anni, i primi due insieme perché io smisi di prendere treni, il fine settimana tornavamo a casa e passavamo insieme anche quello. Le superiori finiscono e inizia un infruttuoso tentativo all’università in due citta diverse, poi io mi ritrovo dall’altra parte dell’oceano con una divisa bianca. Non ci siamo visti per sei mesi, durante i quali ci scrivevamo lunghe lettere su carta velina da posta aerea, altro che Facebook, Watsapp o Skipe. Anche telefonarsi era un’impresa, talmente complicata e costosa che non potevamo permettercelo. Passa un’altra estate e arriva il momento giusto per il mio rientro. E’ bastata una notte per volare da Curacao a Genova con qualche scalo, ma ci sono voluti due giorni per completare il viaggio fino a casa per colpa di uno sciopero. Solo l’Italia non è molto cambiata da allora.

Ci siamo sposati il 27 di settembre, il nostro primo figlio è nato il 1 ottobre, con che atmosfera quindi lo immaginino i lettori visto che questa è una lettera aperta. Fu un matrimonio seminascosto in una chiesina di frati, poi un “ricevimento” per pochissimi intimi al bar di un distributore di benzina, con per unica portata una torta gelato. Mi feci dare in prestito la macchina di mio padre, una Citroen DS blu molto più adatta al nostro viaggio di nozze di soli 60 km della mia Cinquecento bianca. A cena eravamo soli, almeno per quella però andammo in un ristorante di grido. Riuscì talmente bene che io passai la mia prima notte di nozze con la fronte sulla tazza del water. Fu colpa dell’emozione o forse ero ancora in preda al jet lag, d'altronde con quel pancione non ci sarebbe stata comunque storia. Non posso fare a meno di scrivere di quel matrimonio anomalo celebrato senza chiasso. Noi eravamo due ragazzi e tutto intorno c’era lo scetticismo della gente, in un piccolo centro eravamo sulla bocca di tutti. Qualcuno avrà scommesso sulla breve durata di quell’unione prematura e invece da quella piccola cerimonia, tutto sommato anche lei a modo suo da favola, sono passati quarant’anni.

Abbiamo avuto momenti felici e momenti tristi, ad essere onesti più i primi che i secondi. Due figli, con una terza in mezzo perduta sul nascere. Una casa di campagna costruita in buona parte con le nostre mani, poi finalmente una casa vera. Anni di piena e anni di magra. Qualche lutto, ma quelli purtroppo capitano a tutti prima o poi. Litigi brevi, talvolta con fuochi d’artificio, ma ai quali seguivano sempre lunghi periodi di pace. Incidenti che ci hanno messo in ginocchio, lavori che sono cambiati. Quando ci siamo sposati sapevamo di dover vivere lontani, io in mare e tu a casa. Pochi giorni dopo quella notte partii per star fuori altri dieci mesi, poi per fortuna sono arrivati lavori più comodi, ma con orari diversi. Turni di notte per me e lunghi avanti e indietro in macchina per te. Infine sul lavoro per entrambi sono tornati i problemi e abbiamo finito per condividere lo stesso. Quindi ora viviamo nella stessa casa ormai soli perché i figli sono grandi e indipendenti. Lavoriamo nello stesso ufficio, facciamo gli stessi week end e le stesse vacanze sempre (volutamente) da soli. Questa è stata la prova totale, definitiva, perché una coppia se non scoppia qui non scoppia più.

Intanto il tempo è passato, quindi sì oggi posso dire che era un colpo di fulmine. Il tuono conseguente è iniziato piano piano con un brontolio lontano, poi un frastuono immenso e un rimbombo che non finisce mai. Perché per quanto mi riguarda non si è ancora spento e mi tiene compagnia. Ogni tanto temo che qualcosa si possa guastare, che il frastuono si spenga e la magia finisca. Ne ho visti troppi di matrimoni naufragare e so che nessuno può considerarsi immune. Ma so anche che se dovesse capitare ora sarebbe una ferita insanabile, mortale. Ecco perché gli anniversari non mi sono mai piaciuti, preferisco che passino inosservati, senza parlarne. Ed ecco perché anche su un anniversario a cifra tonda, anzi tondissima, non trovo molto da dire e non parlarne spero che sia esorcizzante.

Ti amo, lo so non te lo dico mai, ma so anche che te lo posso ancora dire in tutta coscienza e questo è l’importante.

27 settembre 2015


 

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