Egregio Comandante

 


Egregio Comandante c.s.l.c.
PIER NORBERTO BUATIER DE MONGEOT
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GENOVA

Oggetto: Memorie di un non più giovane allievo.


Mai ho scritto quel “Egregio” che normalmente si usa per pura formula di cortesia, tenendo ben presente il suo vero significato, e oggi essendo trascorsi più di trentacinque anni dai tempi che vado a ricordarle, posso farlo sinceramente senza paura di essere accusato di piaggeria.

Sono stato imbarcato da allievo di coperta negli anni 1975/76, prima sulla Carla “C” poi sull’Eugenio “C”, quasi sempre al suo comando, per un periodo di circa diciotto mesi e per quanto breve possa essere stata quella esperienza di mare mi è rimasta nel cuore. Poi cambiai diploma e mestiere, ma da poco mi sono imbattuto casualmente, mentre navigavo questa volta solo virtualmente su internet, nel suo bel libro “L’ultimo dei transatlantici”, non potevo non averlo, l’ho ordinato e letto quasi d’un fiato, ed è stato come rivivere tempi ormai lontani.

Mi imbarcai in aprile a San Juan di Portorico dopo un viaggio aereo durato un’eternità con ben quattro scali. Ero ancora vestito con abiti invernali e appena uscito dall’ultimo aeroporto sentii il caldo tropicale entrarmi nelle ossa. Arrivati in banchina, per prima cosa vidi la caratteristica poppa della Carla , con una forma che si addiceva più ad un incrociatore della prima guerra mondiale che ad una nave da crociera. Notai i chiodi ribattuti che tenevano insieme le lamiere e rispolverando le mie nozioni scolastiche di costruzioni pensai “Dev’essere ben vecchia, ma dove sono finito?”. Si, quello fu il primo irriverente pensiero verso quella nave che imparai invece ad amare. Fui condotto sul ponte da due marinai che si accollarono il mio bagaglio, era quasi mezzanotte e si era in partenza, mi presentarono a Lei e al comandante in seconda Bona. Navigammo nei Caraibi per circa sei mesi. Le male lingue dicevano che la Carla non si sarebbe più potuta allontanare da quelle rotte, perché non avrebbe potuto affrontare un’altra traversata oceanica.

Ovviamente Lei mi incuteva soggezione, avevo solo ventun anni di ignoranza, da contrapporre a tutta quella esperienza. Una volta mentre ero di guardia, per scherzare coi marinai mi misi l’imbuto di gomma che serviva ad oscurare lo schermo radar in testa. Proprio in quel momento entrò e mi fulminò con un’occhiataccia, ci rimasi malissimo. Sì, aveva un modo di fare abbastanza burbero, come d'altronde si addice ad un comandante, e solo dopo tanto tempo ho potuto leggere sulle sue pagine che anche Lei ne ha combinato delle belle ed è un uomo di spirito.

Un mese prima della fine del mio imbarco venne sostituito per avvicendamento dal comandante Salomone,  citato nel suo libro ma non come comandante. Fu un buon istruttore anche lui, sia pure con delle piccole manie, pretendeva per esempio che il vetro della chiesuola della bussola magnetica fosse orientato verso prua, in modo che gli ufficiali la tenessero sempre d’occhio. Non si fidava della girobussola, chissà come si comporterebbe oggi nei confronti di un GPS.

Poi venne l’Eugenio, quando mi imbarcai a Genova Lei era già a bordo. Durante uno scalo, mi pare nuovamente a Porto Rico, il pilota (riceverlo e condurlo sul ponte faceva parte dei compiti dell’allievo) mi riconobbe e mi chiese sfottendomi: “Ma sei tu che segui Lui o è Lui che segue te?”.

A proposito di GPS, allora era ancora lontano dall’essere inventato. Esisteva solo il Loran, un surrogato che funzionava rilevando dei segnali costieri, ma “L’ultimo dei Transatlantici” non ne era dotato, pare a causa della proverbiale parsimonia dei Costa. Tra allievi si faceva la gara a chi faceva il punto nave più preciso col sestante. Un giorno il primo ufficiale, osservando il triangolo di incertezza calcolato da uno di noi disse:

“Ma questo non è un punto, sembra un campo da calcio”
Bozzo, il mio collega di Camogli, rispose:
“Sciù, ma un campo da calcio quanto è lungo?”
“Centodieci metri, mi pare.”
“E questa nave?”
“Duecentodiciassette.”
“E alua u le ciù che bun!”

Agli episodi che ha così ben raccontato nel libro, colorandoli di poesia e dandogli il sapore dell’avventura, posso aggiungerne altri. Nella mia pur breve carriera di marittimo ho fatto in tempo ad assistere a tre principi di incendio, sempre causati subdolamente da cortocircuiti agli impianti elettrici celati dietro ai pannelli di rifinitura delle paratie. Ad uno di questi collaborai io stesso allo spegnimento, aiutando con un estintore il capo pompiere, si chiamava nientemeno che Garibaldi. Ho assistito a tre blackout totali, con la nave al buio, abbrivata e senza governo al largo di Nassau. Sarà stato il famigerato triangolo delle Bermude? Ho vissuto un arenamento nei fanghi del Rio della Plata, in prossimità del porto di Buenos Aires, appena una pruata col bulbo che riuscimmo a liberare quasi subito dando macchine indietro, ma quella volta si arrabbio molto col pilota e non gli risparmiò un giudizio impietoso sulle sue capacità. Ho presenziato alla scoperta di un clandestino di colore, che dalla disperazione voleva buttarsi in mare, quando seppe che non potevamo fare a meno di sbarcarlo e rimpatriato alla prima occasione.

E ancora altri piccoli incidenti, minori ma buffi. Una volta partiti da Genova con la nave appena uscita dal bacino di carenaggio, ci siamo accorti che mancava il motore di uno dei radar, era stato smontato per delle riparazioni e nessuno si era accorto che non era mai stato riconsegnato. Un’altra si dovette recuperare la dentiera di una passeggera dalla macchina che espelle i liquami a mare, perché le era caduta nel wc. Per non parlare di quelli che dalla tazza cadevano per terra loro stessi, fratturandosi l’osso sacro. Battevo a macchina le denunce all’assicurazione, e stavo ben attento perché gli avvocati americani ci andavano a nozze con queste storie.

Ma l’incidente più grave mi capitò una notte appena fuori dal porto di Rio de Janeiro. Era finita la manovra da qualche ora e il personale franco era già andato a riposare. Si era ancora vicini alla costa e la rada era piena di navi alla fonda. Si distinguevano bene, per via delle luci tutte accese. Una di queste era particolarmente luminosa, come un albero di natale. Guardando quella specie di palazzo galleggiante non si poteva distinguere nessun fanale di via, ma qualcosa non quadrava, per essere una nave all’ancora ci stavamo avvicinando troppo rapidamente. Finalmente gridai al mio capo guardia:

“Vedo il rosso!”
e lui
“Belin, anch’io, tutto il timone a drittaaaaa!”

La Eugenio si inclinò paurosamente sotto lo sforzo della virata, ma la prontezza e perizia del timoniere salvarono la situazione. Si trattava di una petroliera coi finestroni del castello di poppa completamente aperti, le passammo vicinissimi maledicendola. Un transatlantico in piena velocità che andasse in collisione quasi frontale con una petroliera avrebbe fatto un bel botto. Ma se mai qualcuno fosse sopravvissuto avrebbe avuto il suo bel da fare a spiegare la dinamica dell’incidente ai giudici. Completammo la virata ad angolo giro e sulla nostra nave nessuno se ne accorse, nonostante il forte sbandamento. Ricevemmo solo una telefonata dalla macchina, che ci chiedeva se per caso avevamo bevuto. Il giorno dopo il capo guardia Le fece un doveroso rapporto, evidentemente comprese subito e senza fare troppi commenti disse “Sarebbe potuto capitare anche a me”. Eppure se fosse andata male probabilmente la colpa sarebbe ricaduta quasi interamente su di Lei.

Non so se riceverà mai questa lettera, l’indirizzo l’ho trovato fortuitamente, nel caso spero di non averla annoiata e soprattutto di trovarla in buona salute. Conserverò sempre un buon ricordo che, ancora modestamente Le dico, merita.

Cordiali saluti

ex allievo c.l.c.

22 novembre 2012

P.S. la lettera è giunta a destinazione e il comandante Buatier mi mi ha risposto, con tutta la signorilità di cui è capace e con mio immenso piacere




Carla “C” la principessa dei Caraibi


Nata a Dunquerque nel 1951 col nome di Flandre fu il primo transatlantico francese del dopoguerra, misurava 183 mt. di lunghezza e 24 di larghezza, per una stazza lorda di 20.000 tls. Era capace di 24 nodi di velocità aveva due motori diesel da 22.000 cv.

Nel 1968 fu acquisita dalla Linea C e fu rinominata Carla C. Lussuosamente riallestita fu destinata al servizio crociere e lanciò la compagnia in questo campo, che divenne poi l’unico fino ai tempi attuali. Operò prevalentemente nel mar dei Caraibi, dove riusciva a tenere testa alla agguerrita concorrenza della nuovissima Cunard Adventurer inglese, grazie alla raffinatezza e professionalità del servizio alberghiero italiano.

Su questa nave lavorò in qualità di cruise director la scrittrice americana Jeraldine Saunders, dove prese spunto per il romanzo da cui fu tratta una serie televisiva di fama planetaria, andata in onda in ben 111 paesi, Love Boats. In particolare si ispirò al comandante Pier Norberto Buatier per creare il ruolo di uno dei protagonisti, il comandante Stubing.

Nel 1992 venne venduta ad una compagnia greca e cambiò ancora nome in Pallas Athena. Il 24 marzo 1994 venne distrutta da un incendio nei pressi dell’isola di Salamina e fu demolita in Turchia.


Eugenio “C” l’ultimo dei transatlantici



Nata per essere destinata ai collegamenti Italia - Sud America, fu dopo il disarmo delle Michelangelo e Raffaello, l’ammiraglia della flotta passeggeri italiana e fu l’ultimo transatlantico, ovvero l’ultima nave passeggeri ad effettuare collegamenti di linea col continente americano. Fu progettata con criteri d’avanguardia per l’epoca, con prua a elegante collo di cigno, poppa tipo incrociatore con riquadro poppiero per ridurre la turbolenza e due innovative ciminiere appaiate trasversalmente, in luogo della tradizionale disposizione longitudinale. La carena aveva una forma appositamente studiata per agevolarne l’accesso nel porto fluviale di Buenos Aires. Era inoltre dotata di quattro pinne stabilizzatrici antirollio.

Era lunga 217 mt, larga 29 mt, stazzava 30.000 tsl. Equipaggiata con tre caldaie e due turbine, per una potenza di 55.000 cv che potevano spingerla fino a 28 nodi. Aveva inoltre tre generatori diesel. Portava 1636 passeggeri oltre a 424 membri d’equipaggio. Disponeva di ampie stive a prue, dotate di celle frigorifere per il trasporto della carne argentina. Oltre a cisterne per il carico di olio alimentare.

Fu commissionata dalla Costa Armatori ai cantieri di Monfalcone, la sua costruzione inizio a nel 1964 e terminò nel 1966. Nata per le traversate commerciali si distinse anche nelle crociere e in questa veste compi tra l'altro due giri del modo. Nel 1995 la Costa (nel frattempo divenuta Costa Crociere) è ormai diventata una delle prime compagnie mondiali del ramo. Nell’ambito del programma di ammodernamento della flotta vende l’Eugenio, anzi la dà in acconto ad una società monroviana per la costruzione di nuove unità. Da quel momento per la grande nave, forse umiliata e delusa per l’abbandono, inizia il declino e una serie di sfortunati incidenti. Diventa prima Edinburgh Castle, poi Big Red Boat. Da questo momento perde l’elegante colore bianco che ha sempre avuto per diventare rossa. La trasformazione non le porta fortuna, le società che la gestiscono falliscono una dietro l’altra, finché non viene sequestrata e portata alla demolizione ad Alang, il cimitero delle navi, nel 2003.

Con lei muore un'era, l’epoca d’oro dei transatlantici italiani.

22 novembre 2012



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