Questa conclusione

 


"Questa conclusione, benché trovata da povera gente, c’è parsa così giusta, che abbiam pensato di metterla qui, come il sugo di tutta la storia. La quale, se non v’è dispiaciuta affatto, vogliatene bene a chi l’ha scritta, e anche un pochino a chi l’ha raccomodata. Ma se in vece fossimo riusciti ad annoiarvi, credete che non s’è fatto apposta."

L'incipit è quel pugno di parole che vengono citate al posto del titolo per riferirsi a un libro, che generalmente conoscono tutti anche chi non l'ha mai letto. Quelle di sopra invece sono l'esatto contrario, ovvero la fine, che conoscono solo quelli che l'hanno letto fino in fondo. Per me è stata una sorta di sfida, un traguardo che credevo improbabile e che invece si è rivelato sorprendentemente facile. Quest'anno all'inizio delle ferie, che sapevo di dover trascorrere a casa per cause di forza maggiore, cercavo un libro che mi facesse compagnia, di quelli che ti fanno tirare tardi perché tanto il giorno dopo non devi svegliarti presto. Così mi dibattevo nei soliti elenchi del tipo: "I cento libri da leggere almeno una volta nella vita". La ricerca è stata breve, perché mi sono trovato quasi subito davanti ad una provocazione, un titolo famosissimo. Voglio proprio vedere se ho il coraggio di iniziarlo e soprattutto di finirlo, mi sono detto. Provocante era anche il prezzo, un euro in versione elettronica, se non ci fossi riuscito quindi lo avrei potuto vigliaccamente abbandonare strada facendolo senza rimpianti.

In questo caso oltre all'incipit è famosissima anche la trama, ben pochi la ignorano perché è un testo che si studia a scuola, di quelli che la maggior parte degli studenti giurano di non aprire mai più nella vita, non appena terminato l'anno scolastico, ma qualcosa resta. La si conosce anche per alcune messe in scena, che forse si son seguite più volentieri e sicuramente meno faticosamente. Come storia al limite del banale, farebbe invidia alle attuali telenovelas. Al limite anche del credibile, dato che i protagonisti passano nel corso del racconto dalle più disperate tragedie ad un finale di floridezza economica e radioso futuro. Scritto nell'Ottocento ma ambientato nel Seicento, costoro non si fanno mancare nulla: carestie, tumulti, guerre, pestilenze e ingiustizie a iosa. Superandole con un'improbabile concatenazione di fortune che vengono definite pudicamente provvidenza, ma che oggi non potremmo fare a meno di chiamare botte di culo.

Perché allora un uomo maturo dovrebbe imbarcarsi in una lettura del genere, soprattutto durante giorni votati al relax del corpo e della mente? Perché a parte il fatto che se un romanzo è diventato così famoso deve esserci più di un motivo, so da me che una storia la si apprezza non solo per la trama avvincente, ma anche per l'eleganza della scrittura o semplicemente per lo stile con cui è raccontata. Il piacere di scoprirvi vocaboli ormai estinti, o semplicemente fusi definitivamente insieme com'è il caso di tante parole composte: pur troppo, in vece, né anche. Oppure ritrovare la nascita di tanti modi di dire che ancora oggi sono sulla bocca di tutti: “prendere con le molle”, “come un vaso di coccio in mezzo a vasi di ferro”, ”meglio che un dito in un occhio”, ”del senno di poi son pieni i fossi”.

In secondo luogo perché si tratta di un romanzo storico, un vero e proprio saggio con tanto di citazione delle fonti. Decade quindi l'incredulità su quella sequela ravvicinata di eventi tragici, perché al tempo sono realmente accaduti e nell’arco di soli due anni. Anche la maggior parte dei personaggi sono realmente esistiti e ricordati da più di un cronista storico. Oltre agli eventi e ai personaggi, vengono descritti, anzi dipinti, il contesto socio politico e perfino geografico, con la piacevole descrizione dei luoghi, delle città, dei modi di vivere. Certi viaggi a piedi in mezzo alla natura ancora selvaggia: nessuno si sognerebbe oggi di fare una camminata di cinquanta chilometri in dodici ore, allora era normale.

Così la trama apparentemente banale scorre veloce un capitolo dopo l'altro tra incisi sul carattere dei personaggi, il loro modo di vedere il mondo, il loro modo di agire a scapito o a favore del prossimo:

"L’uomo che vuole offendere, o che teme, ogni momento, d’essere offeso, cerca naturalmente alleati e compagni. Quindi era, in que’ tempi, portata al massimo punto la tendenza degl’individui a tenersi collegati in classi, a formarne delle nuove, e a procurare ognuno la maggior potenza di quella a cui apparteneva. Il clero vegliava a sostenere e ad estendere le sue immunità, la nobiltà i suoi privilegi, il militare le sue esenzioni. I mercanti, gli artigiani erano arrolati in maestranze e in confraternite, i giurisperiti formavano una lega, i medici stessi una corporazione. Ognuna di queste piccole oligarchie aveva una sua forza speciale e propria; in ognuna l’individuo trovava il vantaggio d’impiegar per sé, a proporzione della sua autorità e della sua destrezza, le forze riunite di molti. I più onesti si valevan di questo vantaggio a difesa soltanto; gli astuti e i facinorosi ne approfittavano, per condurre a termine ribalderie, alle quali i loro mezzi personali non sarebbero bastati, e per assicurarsene l’impunità…"

In altre parole scopri che la mafia viene da lontano e non necessariamente da sud.

Naturalmente il trucco di intrecciare un saggio storico con una storia banale, vissuta da gente semplice che da sola non avrebbe potuto lasciarne, è intenzionale. Generazioni di critici lo hanno scritto e riscritto, spiegandone i motivi i perché e i percome. A legger le biografie dell’autore si scopre che era un personaggio mai convinto di nulla, che nel corso della vita ha cambiato opinione più volte sia sul credo politico che su quello religioso. Figuriamo quali possono essere stati i travagli sullo stile letterario. Infatti agli inizi avrebbe voluto essere un poeta classico, ma ha finito per diventare un narratore romantico. Strada facendo ha ripudiato più volte i suoi scritti fino al punto in qualche caso di distruggerli. Tanto non doveva viverci perché era straricco. Anche del suo capolavoro ne ha scritte tre versioni, per fortuna accorciandole una dopo l’altra. Ma alla fine ha consolidato le basi della lingua italiana moderna, andando in giro per l’Italia a perfezionarla quando si è accorto che il suo modo di scrivere era pieno di inflessioni dialettali. E ha contribuito in tal senso con la penna all’unità d’Italia, negli anni in cui questa la si faceva con la spada e col moschetto.

Ma quello che più mi ha divertito è che quest'opera, talvolta effettivamente pesante e puntigliosa, è alleggerita spesso con la satira, diventando addirittura in certi tratti comica. Ho fatto una buona scelta dunque e confesso che è stato uno di quei rari libri che ti fanno dispiacere l'approssimarsi della fine. Questa arriva quasi all'improvviso, con le frasi riportate all'inizio. Ma veniamo allora all'incipit, quello vero e famosissimo che ormai è diventato facile intuire:

"Quel ramo del lago di Como, che volge a mezzogiorno, tra due catene non interrotte di monti, tutto a seni e a golfi, a seconda dello sporgere e del rientrare di quelli, vien, quasi a un tratto, a ristringersi, e a prender corso e figura, tra un promontorio a destra, e un'ampia costiera dall'altra parte; e il ponte, che ivi congiunge le due rive, par che renda ancor più sensibile all'occhio questa trasformazione, e segni il punto in cui il lago cessa, e l'Adda ricomincia, per ripigliar poi nome di lago dove le rive, allontanandosi di nuovo, lascia l'acqua distendersi e rallentarsi in nuovi golfi e in nuovi seni."

Ciao Alessandro, No, questa volta non mi hai annoiato affatto, ce n'è voluta ma mi sei diventato simpatico.

01 settembre 2019


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