Un sogno nel cassetto

 


Eh si qualche volta bisogna avere il coraggio di tirarlo fuori qualche sogno dal cassetto, magari di quelli finiti ormai in fondo in fondo, quasi dimenticati. Uno di questi è la passione per il volo, per la verità per qualunque mezzo di trasporto ma per gli aerei in particolare. Come la maggior parte dei bambini mi sarebbe piaciuto far il pilota da grande, ma come la maggior parte dei bambini ho dovuto rinunciare per mille motivi. Non ultimi l’impegno in termini di “voglia di studiare” e i costi necessari a conseguire il brevetto.


Ho volato spesso su aerei di linea, in un certo periodo durato circa sei anni ho dovuto prenderne mediamente uno ogni quindici giorni e la cosa ha finito per essere noiosa e stancante. Così ho avuto modo di constatare ancora una volta, la grande differenza tra le attività ludiche o da diporto e le attività di necessità o lavorative. E’ ovvio comunque che viaggiare su un aereo passeggeri non è la stessa cosa che stare al posto di pilotaggio, col quadro dei comandi a portata di mano e il parabrezza oltre il quale si può vivere davvero la sensazione di volare. Mi sarebbe piaciuto quindi prima o poi fare un giro almeno su un piper, ma anche questo è sempre stato piuttosto costoso.


Faccio spesso una certa strada non molto trafficata, che collega la zona dove abito a quella dove ho vissuto da ragazzo e dove ho ancora fratello, sorelle, suocera e cognati. A metà circa del tragitto c’è un piccolo campo di volo sportivo, non è un vero e proprio aeroporto ma quasi. Una pista in terra battuta, alcuni angar, un officina, una manica a vento e diversi mini aeroplani, così detti ultraleggeri. Alcuni monoposto, sembrano più api che arei, altri dall'apetto acrobatico e aggressivo, altri ancora biposto e molto simili ad aerei da turismo. "Prima o poi lo faccio", dicevo a voce alta tutte le volte che passavo di li e mia moglie, evidentemente stufa di sentirlo, per il giorno del mio cinquantasettesimo compleanno mi mostra una mail, da cui risulta che ha già preso accordi perché il desiderio finalmente si avveri.


Finalmente andiamo col camper all’appuntamento, è settembre e sabato, dopo ce ne andremo al mare a goderci il sole e la tranquillità di fine estate. Visti da vicino questi mini apparecchi non sono altro che esili telai di metallo rivestiti con sottili fogli di alluminio solo un po' più spessi del domo pack, plexiglass per le parti finestrate. Appena meglio di com’erano agli albori dell’aviazione quando si usava il legno e la tela cerata. Quindi qualche preoccupazione ce l’ho, nonostante l’emozione del momento.


Ci presentiamo al “capo” che in pratica è il fondatore, promotore, proprietario, direttore, istruttore, costruttore, capo meccanico e chissà cos’altro del mini aeroporto. Si chiama Federico, è un corpulento e simpatico omone coi baffi alla messicana. Guardo lui, guardo me stesso, faccio mentalmente la somma dei due volumi e soprattutto dei due pesi e mi domando quando mai tutto ciò potrà entrare nel piccolo abitacolo della maggior parte dei velivoli che vedo all’intorno. Sta rovistando nel motore di uno di questi che evidentemente ha un problema, quindi spero per prima cosa che il pilota non sia lui e seconda che l’aereo non sia quello. Naturalmente mi sbaglierò in entrambi i casi.


Mi invitano a farmi un giretto perché non sono ancora pronti. Intanto fanno il rifornimento di carburate, un assistente si avvicina con un carrello dotato di tanica e pompa a mano, i serbatoi sono all’interno delle ali. Dopo un po’ tira fuori una sorta di cannuccia, la infila nel bocchettone e la estrae tappandola col dito all’altra estremità, serve a misurare il livello e quindi la quantità di carburante, che per ragioni di bilanciamento deve essere la stessa per ogni ala. Il capo gli chiede quant’è e lui risponde con “Credo tot litri, più o meno …” Viene bruscamente richiamato con un “Come più o meno? Guarda che devi essere sicuro” Non posso che essere d’accordo.


Finalmente siamo pronti, il capo mi chiede se ho fatto pipì, la domanda mi stupisce un po', evidentemente hanno avuto qualche caso di panico con allagamento della carlinga. Mi affida all’assistente (quello della benzina, che si rivela essere un ragazzo simpatico e preparato) per le istruzioni preliminari, che mi invita a salire a bordo spiegandomi esattamente come: devo infilare prima il sedere e poi il resto, come si faceva una volta sulle prime 500 che avevano ancora le portiere che si aprivano al vento. Mi aiuta a sistemare le cinture di sicurezza, sono a bretella completa come quelle della formula uno. Si siede accanto a me, urla “Via dall’elica!” e fa partire il motore, spiegandomi che deve raggiungere la temperatura d’esercizio prima di poter decollare. Nel frattempo lo intervisto sulla composizione del quadro strumenti, i due quadranti più grandi sono l’altimetro e il conta giri. Poi c’è un manometro per la pressione del carburante, un termometro per la temperatura dell'olio, un inclinometro, un orologio, un conta nodi. Un altro quadrante multi funzione, lunico digitale, fornisce diversi altri dati sul funzionamento del motore, un quattro cilindri boxer da cento cavalli, tra i quali la temperatura delle testate. Mi spiega che i piper da turismo, quelli "veri" che richiedono il brevetto da volo civile, pesano circa il doppio di questo ma hanno la stessa potenza, quindi non mi devo preoccupare per i pesi. Poi ci sono i comandi della radio e un GPS di generose dimensioni. La bussola è molto piccola e sistemata sul tettuccio perché sia ben lontana dalle influenze magnetiche degli altri strumenti. La cloche che serve a regolare l’inclinazione longitudinale e trasversale del velivolo è unica e centrale rispetto ai due sedili. Termina con una impugnatura a forcella, in modo da poter essere impugnata da uno o dall’altro lato. La pedaliera serve ad azionare il timone verticale che imprime la direzione sul piano orizzontale, è doppia come sulle macchine della scuola guida. Quindi prevengo l’istruzione successiva dicendo “Naturalmente devo tenere mani e piedi ben lontani, giusto? ”. Una leva simile a un freno a mano serve a regolare l’inclinazione dei flaps, due alettoni mobili che variando il profilo aumentano la portanza delle ali in fase di atterraggio. La maggior parte di queste cose le sapevo già perchè lette a dieci anni sull'enciclopedia dei ragazzi, quindi faccio un figurone.


Arriva Federico, si siede si imbraga e mi dice di mettermi le cuffie, stanno appese a un gancio dietro il sedile. Sono abbastanza voluminose e capisco che serviranno oltre che a comunicare via radio con il suolo, anche a comunicare tra di noi, nello stesso tempo ad attutire il rumore del motore. Rulla verso l’inizio della pista e volge la prua contro vento, mi chiede se sono pronto e quasi senza aspettare la risposta tira brutalmente la manopola del gas che fuoriesce dal cruscotto. E’ il punto di non ritorno, ormai non posso più dire di no. Stimo che la pista sia lunga circa trecento metri, ma ne bastano cento perché il piccolo apparecchio dopo una brevissima corsa si libri in aria. Vira senza tanti complimenti verso nord e appena raggiunta la quota di crociera riduce il gas a regime d'economia e lo stabilizza orizzontalmente. La grande differenza di sensazioni tra un volo di linea e questo si nota subito. Su un grande aereo pare di viaggiare in autobus, dai finestrini si vede poco e niente perché sono piccoli e laterali. Su questo piccolo monomotore sembra invece di stare su uno Spitfire della seconda guerra mondiale, movimenti netti e precisi, l’elica che gira a prua e il suolo che sembra a portata di mano. In ogni modo il volo è piacevole e senza scossoni, ogni tensione svanisce.


Il capo, che ormai è diventato il comandante, mi dice che deve consegnare un pezzo di ricambio ad un altro campo di volo vicino e mi chiede se ho niente in contrario. Figuriamoci se dico di no, penso subito che farò due decolli e due atterraggi al prezzo di uno, e vai! Dopo cinque minuti comunica via radio che sta iniziando la discesa, regola i flaps e si abbassa gradualmente. Anche le residue preoccupazioni per l’atterraggio vengono smentite, nonostante la terra battuta e la mancanza (credo) di ammortizzatori l’impatto è dolce e brevissimo. Si ferma, fa un rapido saluto al collega, consegna un pacchettino grande come una torcia tascabile senza nemmeno scendere e si riparte. Qui la pista mi sembra molto più corta ma nessun problema, ne basta mezza per disimpegnarsi, si vola verso il mare.


Siamo ad una quota di trecento metri, per legge gli apparecchi da volo sportivo non possono andare più in alto. C’è da precisare però che si tratta di altezza relativa, cioè dal suolo e non al livello del mare, quindi se dovessimo superare delle montagne potremo farlo elevandoci trecento metri oltre la loro cima. Inizia lo spettacolo, stiamo sorvolando una zona che conosco come le mie tasche perché ci sono cresciuto, mai però l'avevo vista dall’alto se non in occasione di qualche escursione sulle colline dei dintorni. Trecento metri sembrano pochi ma in realtà case e strade, ma soprattutto uomini e animali, diventano piccolissimi. Tutto sembra un immenso presepe. Scopro particolari che non avevo mai notato, distanze che ricordavo diverse e colori che da terra non si vedono. E' incredibile per esempio, quante piscine si nascondano vicino a insospettabili “fattorie”. La velocità di crociera è di 120 chilometri orari, anche questi sembrano pochi, ma quando si procede in linea retta e a velocità costante in un attimo si è dappertutto. Infatti siamo già sul mare. Anche lui è diverso, sono fortunato la giornata è splendida e il vento quasi assente, la linea della costa è quasi indistinguibile perché si vede il fondo.


L’emozione si confonde coi ricordi. Spiagge, miniere, strade statali e sterrate di campagna, mulattiere e profonde gole, quante volte le avrò percorse in macchina, a piedi, in motorino o in bicicletta. Viriamo stretti intorno al Pan di Zucchero, dal mare verso terra, l’imponente falesia di Porto Flavia ci si para davanti e ripiombo in pensieri di ordine molto più pratico: “L’avrà vista?” ,“Certo che si, è impossibile non vedere un muro di roccia così compatta”. Infatti dopo una brevissima esitazione, probabilmente studiato ad arte per aggiungere un po’ di pepe, la virata riprende e a prua ricompare un orizzonte sufficientemente lontano. Ora voliamo verso est, verso il campo di volo ma percorriamo una rotta diversa descrivendo un arco che sorvola i boschi dei dintorni anziché la pianura.



Cerco con lo sguardo mia moglie, che voglio subito ringraziare per il graditissimo e originale regalo di compleanno, è durato solo un ora ma sarà indimenticabile. Non la vedo, incurante di tanta meravigliosa tecnologia, ma soprattutto delle mie infantili emozioni, è rimasta sul camper a fare vestitini e lenzuolini per le figlie delle sue amiche.

17 settembre 2011





















Commenti

Post popolari in questo blog

Egregio Comandante

Sulla scia degli Abbagnale

Quarantesimo