Emilio

 



Emilio era nato il 5 marzo del 1922 a Rapallo da benestante e nobile famiglia genovese, ma questa fortunata circostanza non gli fu d’aiuto, quando si trovò ancora in giovanissima età a combattere nei boschi contro soldati fino a poco tempo prima alleati e diventati da pochissimo acerrimi nemici. Morì partigiano sui monti della Versilia, erano gli ultimi mesi del più terribile conflitto provocato e combattuto dall’uomo.

Secondo di sei figli, tre maschi e tre femmine, aveva avversato fin da quando era stato in grado di intendere e di volere l’ideologia fascista, così come tutto il resto della famiglia, cattolica e simpatizzante piuttosto delle correnti politiche che portarono più tardi alla nascita della Democrazia Cristiana. All’inizio della guerra erano sfollati da Genova a Santa Margherita, non molto lontana sulla riviera di levante, ritenuta più sicura nonostante il fatto che anche qui le bombe inglesi cadessero come la pioggia. Stretta lingua di terra la Liguria è percorsa da uno dei tratti ferroviari più ricchi di ponti e gallerie del paese, per questo motivo costitutiva un importante e facile obiettivo bellico. La vicinissima Recco infatti fu completamente rasa al suolo e non venne risparmiato nemmeno il mitico (già da allora) promontorio di Portofino.

I fratelli De Ferrari nel 1936, da sinistra in senso antiorario: Emilio, Giuseppe (Pino), Adolfo, Alice, Maria Paola, Elena.


Le tendenze politiche dei De Ferrari naturalmente erano note nella piccola cittadina. Pino, il più grande, si fece pure qualche giorno di galera a Marassi insieme ad altri tre studenti, a seguito di una rissa ingaggiata contro un gruppo di coetanei che distribuivano volantini a favore dell’intervento in guerra. Lui stesso racconta che gli era permesso di farsi portare i pasti da una vicina trattoria, non venne però risparmiato dai morsi delle cimici.

Emilio come gli altri fratelli fece la maggior parte degli studi primari all’Arecco, istituto gesuita d’elite famoso in tutta Genova che è stato chiuso solo pochi anni fa. Si iscrisse in giurisprudenza e qui naturalmente perfezionò oltre agli studi il pensiero politico. Nonostante la piega che stava prendendo lo scenario europeo in quegli anni, pare fosse tutto sommato ottimista. Questa qualità insieme a un certo savoir faire lo tenne fino a quel momento lontano dai guai, anche se stando a ciò che raccontano parenti ed amici, non avesse un carattere proprio del tutto accomodante.

Nel febbraio del 43’ è chiamato alle armi e assegnato al corpo degli alpini per un primo periodo d’istruzione a Merano, dopo il suo reparto viene trasferito a Tarquinia. Fino a quando l’otto settembre si scioglie automaticamente. Raggiungere Orbetello percorrendo centocinquanta chilometri a piedi e da qui prosegue verso casa, con mezzi di fortuna e sfuggendo alla vigilanza dei tedeschi. Ma nel nord era già cominciata la caccia ai militari ancora in servizio da parte del governo di Salò, perciò si chiude in casa per otto mesi, dorme, mangia e studia in soffitta. Per svagarsi un po’ attrezza una piccola falegnameria in cantina, ha la passione del modellismo ed è anche piuttosto bravo.

Santa Margherita come tanti altri piccoli centri è piena di spie e la situazione si fa sempre più pericolosa. Emilio sa che oltre alla sua rischia la vita dei familiari, il “bando Graziani” commina la fucilazione immediata sul luogo di cattura a quanti non si presenteranno spontaneamente entro il 24 maggio del 44. Quindi si costituisce e viene spedito a Vercelli, ma alla notizia del cambio di caserma, che si sapeva avrebbe significato la partenza per la Germania, fugge da una finestra e rientra di nuovo clandestinamente a Genova, dove si mette in contatto coi suoi amici e con alcuni docenti. Lo aiutano, gli procurano documenti falsi coi quali può raggiungere il fratello Adolfo già partito per Forte dei Marmi per unirsi alle bande partigiane, che andavano via via organizzandosi sempre più numerose.

Sulle montagne versiliesi i due trovarono una situazione drammatica: erano i primi di giugno del 44’ le truppe tedesche stavano organizzando le difese della così detta Linea Gotica, che partendo dalle spiagge di Massa e Carrara, si arrampicava sull’Appennino Tosco-Emiliano e arrivava fino alla costa adriatica di Pesaro. In pratica presidiando l’ultimo ostacolo geografico in grado di fermare l’avanzata degli alleati verso la Pianura Padana. Prima dell’imminente arrivo degli americani due erano le priorità: reclutare forzatamente mano d’opera per l’allestimento delle difese ed evacuare il più possibile la zona dagli altri civili inabili (donne, anziani e bambini) in modo da poterla controllare meglio e poter ingaggiare battaglia senza la complicazione degli insediamenti urbani. Per contrastare quegli stessi obiettivi nella zona si concentrano numerose bande partigiane, formate in prevalenza da gente del posto ma anche come abbiano appena visto da aderenti provenienti dal resto della nazione. Luigi Mulargia per esempio, uno dei primi caduti eroicamente a cui è stata subito intitolata una brigata, era di Olbia.

Agevolata dall’ambiente boschivo e montano la guerriglia si svolge a suon di imboscate e colpi di mano. Il 17 giugno il comandante delle truppe d’occupazione Kesselring emana un’ordinanza, che autorizza e implicitamente ordina ai sui comandanti, di utilizzare “qualsiasi misura repressiva” per fare “terra bruciata” e stroncare la resistenza partigiana. Nello stesso mese si registra una nuova fase del conflitto, che scoraggia e incattivisce ancora di più i tedeschi: la presa di Roma e l’invasione della Francia.

Emilio si distingue da subito sul monte Altissimo, gli viene affidato il comando di una squadra e riesce a disimpegnarsi brillantemente dopo un’azione di disturbo, evacuando a poco a poco i suoi utilizzando il carrello montacarichi di una teleferica. La data è incerta, i siti storici parlano del 30 luglio, qualche altro documento di famiglia invece del 7 agosto, fatto sta che in quei giorni si scatena una furiosa battaglia tra i tedeschi e la "X Brigata bis Garibaldi” sul monte Ornato sopra a Pietrasanta. I partigiani riescono a respingere i nemici, ma nel tentativo di arroccarsi in una zona più interna si inoltrano nella boscaglia e perdono i contatti. Emilio si ritrova con pochi compagni oltre la linea del fronte, tra i villaggi di Capezzano e Capriglia e non riesce a rientrare alla base. Adolfo si mette alla ricerca dei dispersi, correndo a sua volta un immenso pericolo, ma invano. Passano i giorni e i mesi, a casa si spera ancora in sua una cattura e deportazione piuttosto che al peggio.

Un articolo pubblicato da un quotidiano cattolico genovese il 19 ottobre 1945


Solo a guerra finita così racconterà in un memoriale un testimone, uno della sua squadra, Armando Scatena, che fu fatto prigioniero e deportato in Germania.


Nello stesso episodio vengono stroncate altre due giovani vite: Beppino Rovai di Pietrasanta e Giuseppe Spinetti di Forte dei Marmi. Passa più di un anno e nell’autunno del 45’ un cercatore di funghi trova casualmente le tre salme, ovviamente piuttosto malconce. Lui viene riconosciuto dalle scarpe, essendo di buona famiglia poteva permettersene un paio da escursione sportiva, chiodate, di ottima qualità e invidiate dai compagni, che però non gli salvarono la vita.

Il Comune di Pietrasanta (LU) ha dedicato una piazza alla sua memoria.


Questa la scarna risposta alla richiesta di informazioni.

Alcuni giorni dopo la sua morte, il 12 di agosto, a pochissimi chilometri da li si consuma una delle più tragiche stragi della guerra. All’alba gli abitanti di Sant'Anna frazione di Stazzema, un piccolo paesino ma che dall’inizio del conflitto aveva raccolto numerosi sfollati dalle regioni vicine, viene aggredito dalle SS del maggiore Simon. I maschi adulti vanno a nascondersi, pensando alla solita retata per reperire mano d’opera, ignari del fatto che i tedeschi inferociti dai successi partigiani dei giorni precedenti, intendono prendersela con chiunque gli capiti a tiro. Donne, bambini, anziani e il parroco del paesino vengono trucidati. La vicenda è stata ampiamente studiata dal conseguente processo e dagli storici, oltre che raccontata nei dettagli dai pochi e casuali superstiti.

Da un po’ di tempo cercavo notizie per ricostruire questa storia ma ho cominciato tardi e trovato molto poco. Il caso ha voluto che uscisse proprio in quel periodo un film su quel famoso eccidio “Miracolo a Sant'Anna” girato dal regista americano Spike Lee. Suscitò furiose polemiche e l’indignazione delle associazioni della resistenza, perché pur avendo una trama di pura fantasia liberamente adattata, insinuava che la strage fosse stata provocata dal tradimento di un partigiano. Ho letto molta documentazione su quel periodo e di quei luoghi, per arrivare purtroppo alla conclusione che l’ipotesi può essere plausibile. Praticamente tutti i cronisti storici sono concordi sull’affermare che le manovre tedesche erano costantemente supportate da collaborazionisti locali. Anche in quel frangente i pochi superstiti hanno riferito di aver sentito, al di là di ogni dubbio, parlare il dialetto locale tra alcuni partecipanti all’attacco. E’ pertanto verosimile data la confusione, l’urgenza e lo scarso affiatamento tra le varie brigate (anche questo è ampiamente analizzato e documentato), che tra i partigiani potesse esserci qualche infiltrato.

Locandina del film.

Durante le modeste ricerche telefonai alle associazioni partigiane locali, e poco dopo mi fu offerto di acquistare per una cifra modestissima un bellissimo documentario “Inside Buffalo”. Naturalmente lo feci e cito quanto è scritto sulla copertina del CD:

“E’ la storia della 92° divisione dell’esercito americano soprannominata “Buffalo Soldiers” composta interamente da soldati neri che combatté nel 44’ nella Linea Gotica, sulle montagne della Versilia e Garfagnana. A distanza di 65 anni, i veterani americani raccontano le storie ricche di episodi toccanti legati al razzismo di un’America che non era ancora pronta ad accoglierli come veri cittadini. Ai loro ricordi si legano le memorie dei cittadini e dei partigiani toscani, che insieme ai soldati di colore combattono l’occupazione nazi-fascista …… ”

Copertina de CD

In pratica il documentario pareggia il conto col film, raccontando come venivano trattati i soldati di colore, pur essendo ormai da molte generazioni cittadini di una Nazione (alla quale beninteso io sarò per questo sempre grato) che ha scacciato dall’Europa un mostro in nome del diritto più sacro dell’uomo, la Libertà.

Il Sacrario a Sant'Anna di Stazzema


25 maggio 2011


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