Quando i Perlini urlavano


C’è un sentiero facile che partendo dal centro di Iglesias in piazza Quintino Sella, si arrampica sulle alture occidentali e raggiunge, passando per diversi punti molto panoramici, la miniera di Monteponi. E’ l’ideale per chi voglia prendere una vista a volo d’uccello di cosa è stato il polo minerario più importante della Sardegna. Il tracciato si può chiudere ad anello e in questo caso è lungo circa 13 chilometri. Le salite spaventano, quindi per farsi un'idea precisa della difficoltà si tenga presente che il punto più elevato è nei pressi della chiesa campestre del Buon Cammino a circa 350 mslm, con un dislivello dal punto di partenza di circa 170 mt, che viene superato ogni anno da anziane devote a lume di candela, mentre cantano “chi non ama Maria non ama Gesù…” Quindi nessuna scusa, si può fare.

Dal Colle del Buon Cammino e dalle tappe che seguono si domina la vallata del Cixerri fino a Cagliari, o verso sud ovest le isole minori e il mare. La macchia mediterranea ricopre tutto ed è cosparsa qua e la di chiazze di roccia viva, ognuna delle quali corrisponde ad un ex cantiere minerario, talvolta appena impostato e subito abbandonato, talaltra di dimensioni enormi e pieno di crateri lunari. Per secoli queste colline sono state violentate senza tanti complimenti e senza troppi riguardi per le ferite profonde destinate a rimare per sempre, perché allora ecologia e impatto ambientale erano concetti vaghi e trascurabili. Un escursionista qualunque può solo farsi un'idea delle attività passate, ma per chi come me ha avuto la fortuna di conoscere le miniere anche solo negli anni in cui erano già avviate a lenta ma inesorabile decadenza, da lassù un tuffo nel passato è inevitabile.

In un giorno qualunque, magari di bel tempo se sei fortunato, ti accorgi subito che qualcosa manca. Basta chiudere gli occhi solo per un momento e ascoltare. Oggi senti il cinguettio dei passeri e lo stridore non troppo elegante di qualche gabbiano lontano, ma per il resto regna un profondo silenzio. Tra la fine degli anni 60’ e l’inizio dei 70’ enormi macchine da movimento terra percorrevano in lungo e in largo queste colline. Erano i Perlini, dumper giganti capaci di trasportare 95 tonnellate di materiale alla volta su terreni accidentatissimi. Misuravano 11 metri di lunghezza per 5 di larghezza e 5 di altezza, quando affrontavano le salite i loro motori a 6 cilindri da 1000 cavalli urlavano per lo sforzo facendosi sentire a chilometri di distanza. Da un punto elevato bastava cercarli con lo sguardo, per individuare facilmente lontani punti gialli che sollevavano alte colonne di polvere, come la cavalleria nei film western. 


Poi c’era la sala compressori che mandava l’aria nella rete delle gallerie. Se ci passavi vicino il rumore era simile a quello di un elicottero da combattimento che ti faceva mancare il respiro. Il fischio della sirena che suonava ad ogni cambio di turno, le volate delle mine, i “normali” rumori di decine di cantieri e di officine. La sala pompe che aspirava giorno e notte un intero fiume per prosciugare gallerie che si trovavano ben al di sotto del livello del mare. Solo verso sera il clamore si attenuava, dopo l’ultima sirena vedevi i minatori tornare stanchi morti lungo la pista ciclabile in salita che portava alle case popolari. Con biciclette nere fatte per durare e per questo pesanti come cancelli. Uno scenario di guerra insomma, ma che invece che morte e desolazione voleva dire lavoro e vita.

Monteponi, quel piccolo villaggio pulsante indipendente, completamente autonomo in quanto dotato di un piccolo ospedale, di un asilo, di una scuola elementare, di spaccio alimentari, di una chiesa, una foresteria e un ufficio postale, manteneva in realtà una città ben più grande. A Iglesias infatti era ben raro che un qualunque cittadino non avesse a che fare direttamente o indirettamente con la miniera. Qui già in quegli anni gli ospedali erano tre, tre i cinema, tre le banche. Numerose scuole dalle elementari al liceo, un istituto tecnico minerario più unico che raro, il mercato civico, lo stadio, la stazione ferroviaria, i negozi e tutto quanto potesse desiderare una piccola città.

Verso la fine del tragitto di andata l’escursione lambisce le case degli ex impiegati e dirigenti. Da ragazzo ci andavo a trovare i compagni di scuola, e passandoci in mezzo sono riuscito a scovare qualcuna delle scalette di disimpegno, nascoste ormai dalla vegetazione incolta perché nessuno cammina più a piedi. E’ stata una consolazione però vedere che almeno quelle case sono rimaste abitate, ed anzi quasi tutte ben ristrutturate. Ma il resto della zona industriale mineraria nei dintorni è sfascio e desolazione. Ritenuta indegna evidentemente di quelle minime cure che servirebbero a mantenerne vivo almeno un doveroso ricordo.

22 febbraio 2017



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