Buchenwald


E’ inevitabile durante un viaggio in Germania pensare alla sua storia recente. Tanto più se l’itinerario ti porta vicino a luoghi che vorresti evitare, ma che una volta individuati sulla carta non puoi fare a meno di visitare, se non altro per rendergli omaggio. Ci era già capitato in Austria a Mauthausen e ci capita ora che siamo nei pressi di Buchenwald (N 51,01941 E 11,24733).

Arriviamo dunque in un grande parcheggio anonimo, lindo e ordinato come quelli di tutta la nazione. Un arco di caseggiati che sembrano piccoli condomini, con tanto di praticello curato, panchine e citofoni, fa da cornice al piazzale. Diviso in numerosi stalli per le auto e per gli autobus turistici. Un bus da linea urbana lo collega alla vicina Weimar.

Dopo aver pagato un modesto biglietto si percorre un lungo viale alberato che conduce all’ingresso principale. Tutti i campi di concentramento, anche se troppe volte visti e rivisti nei documentari storici e nei film, hanno almeno un particolare che li distingue. Questo non fa eccezione e una volta giunti al cancello principale è impossibile non riconoscere la terribile scritta in ferro battuto “JEDEM DAS SEINE” (a ciascuno il suo) che in un epoca e in una nazione dove il razzismo era considerato normale, anzi lodevole, doveva lasciare pochi dubbi sul destino che sarebbe toccato a chi lo varcava.

Il blocco d’ingresso, costituito da un ampio portale simile a quello di una stazione ferroviaria è, sormontato da un grande orologio e fiancheggiato da due ali laterali, è quel poco che resta delle costruzioni originali. D'altronde il resto era costituito da baracche di legno, che sono state attentamente distrutte alla fine della guerra e di queste si vedono oggi solo i tracciati delle fondamenta. Si individuano tuttavia i quartieri, segnalati da vari cartelli, dove venivano separati i prigionieri politici dai criminali comuni, testimoni di Geova e zingari. Questo all’inizio, poi arrivarono gli ebrei.
Vi giunsero e vi trovarono la morte anche alcuni personaggi illustri, tra i quali la nostra principessa Mafalda di Savoia, che figlia di un re e moglie di un ufficiale tedesco, mai poteva immaginarsi di fare una simile fine.

Il reticolato con le sue torri di guardia è stato ricostruito e fa una certa impressine, perché non si può fare a meno di temere che quel cancello si richiuda per sempre dietro la tua vita. In un grande capannone in muratura, dove si trovavano uffici e depositi merci è ubicato il museo. I reperti sono ben pochi ma le immagini su cui meditare infinite. Se si segue il filo conduttore la visita termina all’edificio crematorio. Con un senso di fastidio per l’aspetto, più che per il pensiero di ciò che accadeva li dentro, si entra in un ambiente lindo e impeccabile, che nulla sembra avere di diverso da un comune panificio. D'altronde si è appena usciti dal museo, dove sono illustrati anche i criteri di progettazione, con tanto di tavole originali e tutto l’orgoglio tipico dei tedeschi, quando si mettono a fare qualcosa di tecnologico. Ogni forno è perfettamente conservato è ha la targhetta della ditta costruttrice.

Durante la visita ci si dimentica di guardare l’orologio, o forse lo si fa inconsciamente pensando a coloro per i quali il trascorrere del tempo non aveva più senso. Infine si torna nello stesso piazzale di partenza, davanti a quel brutto ma robustissimo cancello. L’intero sito si trova su una collina, per cui girandosi lo sguardo si perde verso una infinita pianura oltre il reticolato. Chissà quanti l’hanno guardata sperando un giorno di poterla percorrere per andare più lontano possibile, in qualunque direzione ma il più lontano possibile da lì.

Nel vasto bookshop che chiude la visita, come in qualunque altro museo, vi sono numerosissimi libri che trattano tutti gli argomenti utili ad approfondire qualsiasi aspetto del campo. Uno in particolare attira la nostra attenzione. Il titolo al momento non dice nulla perché è in tedesco: “Das leben ist shön” ma l’illustrazione di copertina e soprattutto il nome degli autori si: Von Roberto Benigni und Vincenzo Cerani, La vita è bella.


 

Commenti

Post popolari in questo blog

Egregio Comandante

Sulla scia degli Abbagnale

Quarantesimo