La decisione

 


E' un problema talmente delicato quando si tratta di esseri umani, che quasi mi imbarazza proporlo nel caso di un animale. Chi ne ha o ne ha avuti sa perfettamente che quando si prende un cane o un gatto si stipula una sorta di contratto, dove entrambe le parti hanno dei vantaggi ma anche degli obblighi. Per l’uomo i vantaggi sono noti da secoli, tenere la casa sgombra dai ratti nel caso dei gatti e caccia, guida delle greggi, guardia o difesa, nel caso dei cani. Dal punto di vista dell’animale invece c’è la garanzia degli alimenti assicurati, più o meno a vita. Ma in tempi moderni queste utilità quasi sono scomparse a favore di una sola, il reciproco affetto e dunque la reciproca fedeltà. Non è molto diverso quindi da ciò che dovrebbe essere nei normali rapporti sociali della stessa specie.
Come per tutti i rapporti che si basano sui sentimenti, comportano gioie ma anche dolori. Due persone possono legarsi non sapendo quando e perché questo rapporto si interromperà, e nel caso fortunato in cui duri una vita, l’incognita si riduce a non sapere chi per primo la lascerà suo malgrado.
Per i rapporti uomini animali invece c’è una quasi certezza. A meno che l’adottante non sia già vecchio di suo, sono rari i casi in cui sopravvive l'animale, è la natura a deciderlo e c’è ben poco da fare. Quindi quando adotti un cane o un gatto sai già in partenza che sarai tu prima o poi a provare il dolore di una perdita. Basta metterlo in conto e accettarlo, fin qui tutto ovvio e semplice.
Restano imprevedibili le circostanze. Vecchiaia, malattia o incidente? A parte l’ultima le prime due cause possono avere delle aggravanti, del senso di vuoto e dispiacere di chi resta. Poniamo il caso che dopo quattordici anni di onorato servizio il tuo cane nel giro di pochissimi mesi perda le forze. Inizia con lo stancarsi a camminare a lungo, mentre prima era impossibile stargli dietro. Poi trova difficoltà nel fare le scale, fino a doverci rinunciare. Perde l’udito al punto che devi andargli vicino perché si accorga della tua presenza. Sui suoi occhi scende un velo grigio, fino a perdere completamente la vista o vede solo qualche confusa ombra che passa. Gli arti si deformano e si irrigidiscono, se è costretto a fare qualche movimento brusco prova dolore al punto di guaire. Poi il tono muscolare si spegne giorno dopo giorno, fin tanto che non riesce più a reggersi sulle zampe, neppure da fermo e neppure se sei tu ad alzarlo di peso e a metterlo il piedi. La testa comincia a ciondolare e compare un tremolio diffuso come il nostro alzheimer. L’unico arto che funziona ancora è la coda, che agita come ha sempre fatto quando si accorge della tua presenza. Gli occhi che non ti vedono più, ancora parlano chiedendoti aiuto.
Questa situazione si manifesta e si aggrava in pochissimo tempo, non sai quanto durerà e quanto lo farà soffrire. Ma alla fine puoi chiamarla in un solo modo: agonia. Fai di tutto per alleviargliela, fino al punto di alzarti in piena notte e in pieno inverno ad ogni lamento, per portarlo fuori a fare i bisogni o per mettergli la ciotola dell’acqua sotto il muso, perché non la sa più trovare. E viene inevitabilmente il giorno della decisione, col conforto del veterinario che ti garantisce che non c’è più niente da fare e che non sofrirà. Ma lo scrupolo, il rimorso e la sensazione di averlo tradito sai che resteranno.
A Rigel per una bizzarria abbiamo dato il nome di una stella, come abbiamo spiegato per anni a chi ce ne chiedeva il significato. E come una stella ha fatto il suo dovere, ha brillato. Ci è costato il giusto, senza chiederlo, ma ci ha dato di più. Ha avuto una vita felice e ha pure girato un po’ di modo. Buon viaggio dunque amico dell’uomo, ma soprattutto amico nostro.


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