L'ultimo saluto del miglior amico dell'uomo


Quando nacqui di preciso non lo sa nessuno, perché ero un bastardo o almeno così dicevano gli uomini. Il veterinario stimò agosto 1993 e sul libretto sanitario scrisse europeo comune color champagne, ma forse date le origini sarebbe stato più appropriato color birra.

Mi trovò un bambino, figlio di amici dei miei futuri padroni, durante un banchetto in una casa di campagna. Si chiamava Ludovico e per questo io fui chiamato Vico.

Alice, quella che per prima si prese cura di me, mi fece il bagno e mi diede da mangiare. Quando poi per loro fu il momento di tornare in città mi sdraiai davanti alla macchina nell’unica stradina percorribile, così furono costretti a prendermi su.

Da cane di campagna divenni cane di città. Nei primi tempi scivolavo in continuazione, perché sulle mattonelle non avevo mai camminato prima, poi imparai perfino a riconoscere i semafori. In casa c’era già un gatto, era molto scocciato per il mio arrivo, ma dopo un po' diventammo amici, anche se voleva sempre comandare lui.

Tornai ancora molte volte in quella casa di campagna e molte volte da li scappai. Perché detto fra noi la vita in famiglia è bella, ma la vera libertà è tutta un’altra cosa. Poi però, anche dopo giorni, rincasavo sempre, ero un cane ma mica fesso.

Qualche volta mi portavano sul camper. In Trentino sono andato in seggiovia e mi sono divertito un sacco ad abbaiare alle marmotte. Sono stato in Corsica e molto spesso al mare vicino a casa. Andavo in escursione con Papà, pardon con il capo branco, stavo sempre davanti ma mi fermavo e guardavo indietro per badare che nessuno si perdesse. Un giorno sono rimasto intrappolato in un laccio da bracconieri, ma per fortuna ho saputo guaire forte e sono stato salvato.

Poi andammo a vivere in una casa nuova col giardino e purtroppo per me finirono le gite, perché dovevo fare la guardia insieme a un altro cane, un certo Frodo. Arrivò che era un cucciolo e una volta adulto diventò molto più grosso di me ma non certo più furbo. Anche se si dava un sacco di arie perché lui era di razza, un pastore tedesco, ho dovuto insegnargli tutto, roba da matti.

E così gli anni sono passati, ben quindici che per noi cani sono tanti. Sono arrivati i primi acciacchi, finché sono diventato sordo e cieco. Soffrivo molto ed ero tutto pieno di piaghe, ma non potevo dirlo perché non ho mai saputo parlare. Così piano piano ho smesso di mangiare, mi muovevo poco e uscivo solo per fare i bisogni.

Questa mattina il mio padrone mi ha trovato disteso mezzo dentro e mezzo fuori dalla cuccia. Con le zampe divaricate come se fossi caduto dal quarto piano. Me ne stavo vergognosamente in un lago di pipì perché non potevo più muovermi. Così ha messo un asciugamano pulito in macchina e mi ha portato a fare l’ultima gita, in una clinica per cani bella come quella degli umani. Mi hanno fatto due iniezioni, la prima per farmi dormire e la seconda perché smettessi di respirare. Quando lui è uscito aveva le lacrime agli occhi, nonostante i suoi cinquantaquattro anni.

Ora almeno non soffro più e penso che, anche se ero un bastardo, sono stato un cane felice.

Vico.

21 ottobre 2008


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