Quando il Tom Tom non esisteva ancora

 


Questo sono io, o meglio ero io. T/N Eugenio "C" 1976 

2001 Odissea nello spazio è un bellissimo film di Stanley Kubrick del 1968, ma sicuramente troppo ottimistico circa le potenzialità dell’intelligenza umana, perché trascorso ormai oltre un quarantennio da quell’anno oggi sappiamo che siamo ancora molto lontani dagli scenari che quella moderna odissea ipotizzava.


Eppure nel corso di una vita quante cose cambiano, a quante innovazioni ho assistito nell’arco di mezzo secolo. Quante ne ho visto nascere come assolutamente rivoluzionarie e sono ormai obsolete. Chi avrebbe pensato per esempio, di poter comunicare col proprio cellulare stando seduti su una panchina del parco, quando i primi telefoni delle nostre memorie di bambini erano ancora solidamente ancorati al muro. Chi avrebbe immaginato di poter dialogare faccia a faccia con una persona seduta all'altro capo del mondo, grazie ai computer ed a internet. Quante volte ancora dovrò stupirmi per le magie di una nuova apparecchiatura?

Una di queste è stata senz’altro il GPS, meglio noto come navigatore satellitare, che è nato come tante altre cose purtroppo per scopi bellici. E’ un apparato che ci permette di stabilire la nostra posizione sulla superficie terrestre, deducendola da quella di almeno cinque satelliti per volta orbitanti a ventimiladuecento chilometri d’altezza, con precisione straordinaria. I modelli più evoluti, come ad esempio quelli da rilievo topografico che costano parecchie migliaia di euro, hanno una precisione addirittura millimetrica. Ma già quello economico incorporato nel mio telefonino ha un’approssimazione di qualche decina di metri. Se sto davanti al cancello di casa mia e ne leggo le coordinate geografiche, posso vedere la mia posizione in una foto ripresa dallo spazio su Googol Hart (altra grande invenzione) o trasmetterle ad un amico via SMS in modo che possa arrivare a suonare il mio campanello senza bisogno di altre complicate e approssimative indicazioni.

Questo naturalmente è uno degli utilizzi più banali. Tornando alle applicazioni belliche è evidente che abbinando un GPS ad un missile teleguidato, posso spararlo nel buco della serratura del mio nemico anche se sta all’altro capo del mondo, se ne conosco la posizione esatta. Ma il vantaggio più grande è per fortuna molto più pacifico ed è l’enorme beneficio che ne hanno ricevuto la navigazione sia marittima che aerea.



Quando si parla di coordinate terrestri di un punto ci si riferisce alla sua latitudine e longitudine. La prima è l’ampiezza dell’angolo formato tra la verticale del punto di cui si vuole misurare la posizione, condotta idealmente al centro del globo e un piano immaginario che taglia in due il nostro pianeta, passa anch’esso per il centro perpendicolarmente all’asse di rotazione e disegna sulla superficie terrestre l’equatore. La longitudine invece è l’ampiezza dell’angolo formato tra due semicerchi entrambi perpendicolari all’equatore e aventi per diametro comune l’asse di rotazione, uno passante per Greenwich e l’altro per il punto da posizionare.

Ai tempi di Colombo i naviganti conoscevano già un sistema, anche se molto approssimativo, per calcolare la latitudine. Era tutto sommato abbastanza semplice, tant’è vero che è rimasto sostanzialmente invariato ma si è perfezionato nel corso dei secoli soprattutto per la parte strumentale. Si trattava di misurare l’altezza angolare di un astro sull'orizzonte nel momento in cui passa per il punto più alto della sua parabola apparente giornaliera, percorsa dal sorgere al tramonto. Nel caso del sole questo ovviamente accade a mezzogiorno in punto, quello vero locale non quello convenzionale del fuso orario. Poiché gli astronomi hanno osservato e annotato il moto degli astri fin da tempo immemorabile, Colombo disponeva già di almanacchi e tavole, più precisamente dette effemeridi, in grado di dirgli quale altezza il sole o le altre principali stelle, dovevano avere a quella latitudine, in quel giorno dell’anno. O meglio se misurava una altezza meridiana del sole di tot gradi in quel determinato giorno dell’anno poteva calcolare con buona approssimazione la sua latitudine.

Col passar del tempo le effemeridi sono diventate sempre più precise ed accurate, così come lo strumento utilizzato per la misurazione dell’altezza angolare degli astri sull’orizzonte, il sestante, quello che si vede nella foto d’apertura. Il bel giovane che lo sta usando sono io, ma tanti, tanti anni fa. Il sestante utilizzato da Colombo doveva essere di legno o anche di ferro, ma certamente privo di lenti e dei sofisticati filtri oscuranti, senza i quali è impossibile osservare il sole senza accecarsi. Si può immaginare quindi di quale precaria precisione potesse disporre.


Tutt’altra faccenda invece è il calcolo della longitudine, l’altro dato indispensabile per stabilire una posizione sulla superficie terrestre. In teoria il calcolo è ancora più semplice perché è basato sul trascorrere del tempo o meglio sulla rotazione a velocità costante del nostro pianeta sul proprio asse. In altre parole si tratta di misurare oltre all’altezza degli astri come abbiamo visto per determinare la latitudine anche l’ora esatta al momento dell’osservazione. Infatti se tramite le effemeridi posso sapere a che ora osserverei lo stesso fenomeno a Greenwich (una volta, mancando le convenzioni internazionali ci si riferiva al porto di partenza, complicando ancora di più la cosa), calcolando la differenza con l’ora locale posso risalire alla longitudine. Ma il problema maggiore sta però nella parola “esatta”, perché oltre al sestante mi serve un orologio molto preciso, talmente preciso da chiamarsi cronometro come quelli usati per i rilevamenti sportivi.

Per misurare il tempo il povero Colombo disponeva solo di una modesta clessidra, anche se non c’è dubbio che ne avesse una delle migliori, ed è proprio per questo che cadde nel famoso equivoco che gli fece scambiare il continente americano per le indie. E così il problema della misurazione della longitudine rimase irrisolto fino a non moltissimo tempo fa. Con l'aumentare della velocità delle navi e col fatto che la navigazione non era più limitata al bacino mediterraneo, la possibilità di determinare una posizione certa era diventata indispensabile. Tra l'altro non si trattava più di determinare solo la propria posizione, ma di attribuirla anche con la massima precisione possibile alle nuove terre che si andavano via via scoprendo. Questa necessità era talmente sentita che nel 1714 il parlamento inglese stanzio un premio equivalente a dieci milioni di euro dei nostri giorni, per colui che fosse riuscito a risolverla.

A quel punto nella invitante gara si impegnarono i più accreditati e famosi scienziati europei. Si inventarono di tutto, fino a studiare nei minimi dettagli il comportamento della luna, l'astro più vicino ma proprio per questo notoriamente capriccioso. Ma senza riuscire a trovare un sistema veramente pratico che fosse soprattutto alla portata dei naviganti. Come abbiamo visto invece si trattava di riuscire a costruire un buon orologio che in quel secolo esisteva già ma non sufficientemente preciso e nemmeno in grado di resistere agli scossoni provocati dai marosi. Infatti il problema venne risolto da un modesto orologiaio e per giunta autodidatta, un certo John Harrison. Ben più difficile per lui fu incassare il premio, perché per vedersi riconosciuto il merito dell'invenzione dal governo, che era sobillato dagli astronomi di corte i quali non volevano far brutta figura, impiegò tutta la vita. I test e le misure per collaudare il nuovo orologio vennero eseguiti a Greenwich vicino a Londra, per questo motivo al meridiano passante per quella località venne internazionalmente riconosciuto l’onore di essere il meridiano fondamentale del globo.

Nonostante gli sforzi compiuti e l'aver raggiunto almeno la certezza del metodo, passarono ancora molti anni prima che le navi potessero dotarsi di cronometri adeguati. Perché il prototipo di Harrison oltre ad essere grande e pesante come un armadio era anche costosissimo, soprattutto per gli armatori privati. Ancora trent’anni fa il cronometro nautico non era altro che un costoso orologio ma ancora a movimento meccanico e azionato da una normale molla. Tuttavia col passar del tempo divenuto sempre più preciso, custodito in una teca anti polvere e montato su una sospensione cardanica per attutire i bruschi movimenti della nave. Doveva essere caricato tutti i giorni alla stessa ora e possibilmente dalla stessa mano. Poi sono venuti quelli al quarzo e via dicendo, ma anche nelle versioni più moderne una volta messi in moto non li si regolava mai, per evitare il più possibile di alterarne il movimento e si teneva conto dell’anticipo o del ritardo, che mai si è riusciti ad eliminare del tutto nonostante i progressi della tecnologia, confrontando giornalmente le differenze con gli stop orari trasmessi via radio da apposite stazioni distribuite in tutto il mondo.


In Italia per poter “guidare” una nave bisogna frequentare un’apposita scuola, il cui diploma ha valenza di maturità e il cui corso di studi dura cinque anni. Dopo di che bisogna effettuare un praticantato di altri due anni e sostenere due esami, per conseguire prima il così detto patentino e finalmente la patente. L’apprendimento dei calcoli necessari alla navigazione, tra i quali quelli per stabilire il punto nave tramite l’osservazione delle stelle, inizia al terzo anno e si completa al quinto. Un intero ciclo di calcolo richiede più o meno il riempimento di una pagina formato protocollo, con l’ausilio di voluminose tavole logaritmiche e nautiche, oltre alle effemeridi. L’unica vera agevolazione arrivata prima dell’avvento del GPS è stata la calcolatrice tascabile dotata di funzioni trigonometriche, che ha sostituito le tavole cartacee. Ma anche con quella tra osservazioni, verifiche e calcoli, ci voleva almeno mezzora. Oggi invece grazie al GPS, per usare un termine in voga nel mondo dell’informatica, visto che di un computer comunque si tratta, basta un clic.

18 marzo 2011



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