Carola Rackete

 



In quinta nautico avevo due compagne di scuola, su diciotto che eravamo in quella classe. Ovvero più o meno il 10%, ma era una percentuale alta per la media degli istituti nautici italiani. Considerando la vita che le aspettava se fossero andate a navigare mi sono chiesto fin dal primo giorno cosa le avesse spinte a fare quella scelta, eppure nella mia città c’erano tutti gli istituti superiori e con qualunque diploma poi potevi accedere a qualunque università.

Navigare significa stare a stretto contatto con i propri colleghi, di ogni ordine e grado. Giorno e notte, senza interruzioni, né sabati né domeniche né feste comandate. Agli ufficiali è concessa la privacy di una cabina singola ma è ben poca cosa. Se nasce uno screzio con qualcuno non hai il sollievo di tornare a casa la sera e non pensarci almeno fino giorno dopo, te lo trovi davanti in ogni momento.
Come accade in un viaggio occasionale se non si è ben affiatati e assortiti i difetti di ciascuno si esaltano. Solo che i viaggi di un imbarco commerciale durano mesi. E più è piccola la nave e più si soffrono i disagi della convivenza forzata. Bisogna avere un carattere forte per non sbottare. Immaginiamo poi se sulla piccola nave sono imbarcati una moltitudine di disperati, in condizioni igieniche, fisiche e mentali fra le più precarie. A quel punto non basta più avere un carattere forte, bisogna essere dei santi e tenere ben chiusa a chiave la pistola che ogni comandante ha in dotazione. Anche su una nave umanitaria, ne sono convinto.
Ma al di la dei rischi personali ci sono i rischi professionali. Ad un capitano di lungo coso basta un niente per vedersi stroncare la carriera, basta una distrazione e il più delle volte non è neppure la tua. Se poi hai delle vite da salvare non pensi nemmeno a quello. La vita al di sopra di tutto, poi viene il resto. Precise regole internazionali di salvaguardia della vita umana in mare stabiliscono come ti devi comportare, alle quali non puoi sottrarti nemmeno volendo. In certi casi rischi la galera? Pazienza lo fai e basta.
In queste situazioni devi essere un duro, avere pelo sullo stomaco e decidere rapidamente. Situazioni precarie difficili per chiunque, figuriamoci se ci si mette di mezzo anche la differenza di genere. Perciò appena o letto battute scontate come “Capitana mio capitano” o “Capitane coraggiose” non ho né riso né mi sono stupito più di tanto. E’ proprio questo il punto. Cosa spinge una donna ad abbracciare una vita così difficile? Troppo ovvio, una cosa sola: il coraggio.

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