Narcauli


 Vai giù col camper per una strada non facile, la conosci e sai che presenta qualche incognita, per bene che vada buche e polvere, tanta polvere. Ma ne vale la pena perché stai scendendo per uno degli itinerari più belli della Sardegna, da Ingurtosu a Piscinas. Indubbiamente tra quelli che metteresti tranquillamente sul podio, con l’unico dubbio più che legittimo di scontentarne tanti altri perlomeno pari merito.

Tutte le volte che vengo da queste parti c’è qualcosa che non va. O sei in piena estate e c’è troppo traffico e troppa gente, o è Pasquetta e il traffico è chiuso, o questo o quello. Sta volta c’è una corsa automobilistica in salita, piccoli bolidi arroganti per buona parte della giornata di domani si prenderanno l’esclusiva della stretta carrabile e non potrai risalire. Ogni tornante è già attrezzato con protezioni “di sicurezza” e abbondano i chioschetti dei paninari, quelli che da noi chiamano caddozzoni e non sto a spiegare cosa vuol dire. In un posto del genere, praticamente un paradiso, sembra una bestemmia ma pazienza per una volta l’anno si può anche sopportare. Scendiamo o non scendiamo? Ma si dai, tanto male che vada la strada prosegue risalendo dall’altra parte.


Arriviamo alla spiaggia di Piscinas, le macchine si contano sulla punta delle dita, nonostante la giornata stupenda e grazie al rally delle pulci con la tosse. Per prima cosa vado a vedere le condizioni della via di disimpegno verso nord, so che c’è un guado ed è meglio verificare. Faccio bene perché il guado è impraticabile con un mezzo a quattro ruote, a meno che non sia un fuoristrada, è primavera inoltrata l’acqua è abbondante e non se ne vede il fondo. Uno scout è fermo li che aspetta i suoi compagni, chiedo che ne pensa e mi sconsiglia di cuore, ha appena visto un camper di tedeschi trasformarsi in Arca di Noè.


Torno dalla moglie che ha spirito d’avventura da vendere. Il tempo è buono, la riapertura del traffico è prevista per le 15:30 dell’indomani, il posto è un incanto è ci sono altri due o tre camper. Quanto basta per non pernottare da soli e insufficienti ad affollare il posto. Si resta!
L’indomani (il 25 aprile) il risveglio è pigro ma inevitabile, a causa del frastuono degli uccellini. Con un giorno così, un posto così, e un clima così né caldo né freddo, io non riesco a stare fermo. Non mi ci vuole molto per conseguire i necessari visti e permessi (della moglie) che di solito si riassumono in un sintetico “vai pure dove vuoi, basta che ti togli dalle palle e mi lasci leggere in pace”. Le scarpe da escursione sono sempre nel gavone a portata di piede. Mi resta da tarare il navigatore e fare un minimo di scorta d’acqua per me e per il cane.


Decido di fare un pezzo di strada a ritroso verso il villaggio minerario abbandonato di Narcauli, dove c’è una laveria diroccata dall’incredibile architettura, che non sono mai riuscito a vedere con calma. E’ la volta buona, grazie al traffico chiuso più a monte potrò camminare senza mangiare tonnellate di polvere. Il primo tratto corre in mezzo alle dune in uno scenario da Lawrence d'Arabia, il secondo è immerso in un verde fittissimo e alla fine si attraversa il paesaggio lunare tipico delle ex miniere del Sulcis Iglesiente. Gli incontri sono rarissimi, tra questi una coppia di intrepidi centauri che mi diverto ad osservare da lontano mentre passano il guado.
Percorrendo gli ultimi tornanti mi accorgo che a tratti un sentiero ben tracciato serpeggia parallelo alla strada, ma dall’altra parte del rio. Una volta arrivato alla laveria non ci metto molto a individuarne l’imbocco. E a questo punto... ma che te lo vuoi perdere?


Faccio bene perché si rivela di una bellezza incredibile, discendendo da prima le montagne monocolore e ormai sterili delle discariche minerarie, e poi il fitto bosco che costeggia il fiume. Così ho modo di chiudere la mia escursione ad anello, cosa che abbellisce e allo stesso tempo toglie monotonia a qualunque percorso. Sono ormai prossimo alla fine quando mi accorgo che il torrente si allarga sempre di più, ed essendo sul lato sbagliato rispetto alla mia meta mi toccherà fare il famoso guado almeno a piedi. Lo affronto tutto sommato in sicurezza, con gli scarponi a tracolla e i pantaloni alla coscia. Il cane che felice mi sguazza intorno provvede a bagnare quel poco che è rimasto asciutto.
Brevissima considerazione tecnica: si tratta di undici km tra andata e ritorno, con una pendenza che si può definire lieve.

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