Il baratro


Su una spiaggia inondata di sole, una delle più belle che conosca. E’ un giorno caldo, fra i più caldi dell’anno. Siamo in tre seduti al tavolo del bar di uno stabilimento balneare. L’atmosfera è obbligatoriamente spensierata. Musica, frastuono di bambini, gli ultimi pettegolezzi sull’amica, l'unica che in quel momento non c’è, arrivano dai tavoli vicini. Passano ragazze con bikini minimalisti che saprebbero distrarti da qualunque ragionamento serio. Sicuramente è così anche per i ragazzi, ma qui non saprei giudicare. Il quarto del gruppo si è appena appartato, forse volontariamente per agevolare quella conversazione che deve avvenire in confidenza, nonostante non sia né il momento né il luogo adatto.

Infatti non è l’atmosfera ideale per sentire il racconto di un dramma, ma quando delle persone che dovrebbero conoscersi bene invece si rivedono solo fortuitamente dopo tanti anni, ogni luogo è appropriato e ogni momento è quello buono.

Dei bambini diventati ragazzi e poi adulti, nati in famiglie diverse e per giunta allontanate da cause di forza maggiore, vivono da coetanei gli stessi anni perdendosi di vista. Fanno più o meno le stesse esperienze e passano dagli stessi crocevia. I più girano dalla parte “giusta” ma qualcuno no. Appena imboccata l’altra sciagurata strada, ma che sembra all’inizio quella per il Paese dei Balocchi, c’è subito una curva brusca, una discesa sempre più ripida che piano piano diventa baratro. Si fa sconnessa, ardua, piena di spine, pozzanghere e buche. Lui vorrebbe girarsi e tornare indietro, ma una volta imboccata la discesa pochissimi ce la fanno. Alla fine la via diventa a senso unico, con un finale terribile.

Chi cade in un baratro inevitabilmente trascina con se quelli che gli stanno vicino, aggrappandovisi ad una disperata speranza d’aiuto. Non importa se siano persone forti o deboli, se abbiano avuto un ruolo o no nella caduta, se possano o non possano fare qualcosa, ma il risultato è l’annientamento di una intera famiglia, e delle sue risorse grandi o piccole che siano. Difficile raccontarlo e tanto meno scriverlo in poche righe, perché quel calvario è durato circa trent’anni. Chi vi ha partecipato oltre al protagonista ha vissuto la sua parte di dramma e ha pagato il suo prezzo.

Così in un giorno di ferie, nel momento e nel posto sbagliato, sei costretto a pensare ai drammi della vita, ad una vicenda che avevi solo immaginato ma della quale mai e poi mai avevi capito l’enormità. E pensi anche al tuo passato e alle tue scelte. Pensi a quante volte a quel burrone devi esserci andato molto vicino e nemmeno te ne sei accorto. A notti trascorse come un cretino in quartieri malfamati per il semplice gusto del brivido. A quella volta che in una città straniera, tra le più pericolose dal punto di vista penale, l’offerta di una certa compravendita l’hai ricevuta esplicitamente. E hai rifiutato per fortuna, o perché tutto sommato un po’ di sale in zucca l'avevi già, nonostante l’età ancora verde. Pensi “E noi non l'avevamo mai fatto e a noi che non l'avremmo fatto mai quell'erba ci cresceva tutt'attorno” come cantava Guccini. Così ti accorgi che in una giornata di sole gli occhiali scuri non servono solo a ripararsi dalla luce.

Alla fine della storia una sola nota felice, come un fiore poggiato su una lapide vieni a sapere di un figlio che non hai mai conosciuto, che ha riscattato gli errori del padre conseguendo una laurea e una occupazione prestigiose. A lui auguro una vita di successo e felicità, perché certamente ha già dato e con grande anticipo.

A te che non ci sei più un abbraccio dei più sinceri, non ti giudico non ne ho il diritto. Non sono stato né migliore né più forte di te, sono solo stato più fortunato.

A te che me lo hai raccontato, che ne hai avuto il coraggio perché ce ne vuole, sappi che mi hai fatto un bel regalo. Te ne sono riconoscente.

8 settembre 2015



 

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