Villaggio Asproni 1


Detto fatto. Ieri approfittando di una bella ma ventosa giornata sono andato alla ricerca del villaggio Asproni. Troppe erano le cose che mi hanno incuriosito: ad Asproni è intitolata la più importante scuola di Iglesias, l’Istituto Minerario appunto. Conoscevo ormai quasi tutte le miniere sarde e non solo dell’Iglesiente, ma questa proprio mi era sfuggita. Le vecchie miniere rientrano oggi fra gli interessi degli appassionati della così detta archeologia industriale, ma in alcuni casi non si tratta solo di rugginosi cantieri. Quando erano particolarmente isolate, si dotavano di veri e propri villaggi, che potevano avere dei particolari architettonici pregevoli, anche se realizzati con materiali poveri come mattoni e pietre.


Sono partito dai resti degli impianti di lavorazione di un'altra miniera, quella più importante della zona, Monteponi. La statale 130 una volta arrivata ad Iglesias provenendo da Cagliari, da la possibilità di evitarne il traffico a chi vuole proseguire verso il mare, tramite una tangenziale. Lasciando la città sulla destra scollina il tratto più alto con una galleria e si ricollega alla via che esce dall’altra parte dell’abitato, in località Villa Marini. Proprio sull’incrocio facendo un po’ di attenzione si gira a sinistra su una sorta di piccolo piazzale. Le coordinate sono N 39°17'53.79" E 8°30'42.48".

La strada prosegue sulla destra e diventa subito sterrata. Va detto che è molto mal ridotta, impossibile percorrerla con mezzi ingombranti, e anche con un auto piccola come la mia bisogna fare molta attenzione. Gli acquazzoni invernali hanno scavato solchi molto profondi e se dovesse capitare di infilarci una ruota ci sono buone probabilità di lasciarcela per parecchie ore. E’ quindi poco più di un sentiero e prende quasi subito a salire, ma con pendenza abbastanza moderata. Il panorama non è male, dai tornanti si vede Iglesias per intero e la maggior parte delle gemme della sua collana di miniere. Una volta arrivati in cima alla collina, lo sguardo sorvola le vallate di Gonnesa e Carbonia e va a posarsi (purtroppo) sulle ciminiere di Porto Vesme. Nonostante il vento c’era un po’ di foschia sul mare, probabilmente il pulviscolo d’acqua sollevato dalla tempesta, ma certamente da quel punto si vedono anche le isole di San Pietro e Sant’Antioco. Si prosegue brevemente fino ad arrivare in coordinate N 39° 16’ 31,61” E 8° 30’ 6,51”

Non vi è ombra di segnaletica, se non quella bianca e rossa degli escursionisti CAI, che però non da utili indicazioni a chi non ha una descrizione dettagliata del tracciato. E’ meglio allora avere un navigatore, perché la rete di stradine è fittissima e ogni poco si incontra una deviazione, senza avere la minima idea di dove conduca. La mia era una visita mordi e fuggi e mi sono mosso in macchina, ma l’ideale sarebbe farlo a piedi o con la mountain bike, ne ho incontrate moltissime. Dopo tutto dal bivio di Monteponi al villaggio sono solo cinque km. Vale a dire che con buon passo in tre ore si va e si torna, visita compresa.

Arrivando si ha subito l’idea del villaggio per la presenza della cappella, ormai quasi totalmente distrutta. La struttura è in banale cemento armato, con una copertura a botte in vile eternit. Ma la facciata e un abbozzo di torretta campanaria sono in pietra e mattoni. Sui lati dei finestroni a mezza luna addolciscono l’aspetto da capannone. Le case non sono tantissime, quelle destinate ai minatori si individuano subito per l’aspetto semplice e dimesso. La direzione e la villa del direttore/proprietario invece sono addirittura eleganti. Un certo movimento di finestre ad arco gotico e qualche rosone, insieme ai cornicioni in mattoni, ma molto ben disegnati, ne fanno una rarità per l’edilizia sarda di un tempo. Mentre invece è una architettura comune a quasi tutti i villaggi minerari. Ad esempio Ingurtosu, Montevecchio e la stessa Monteponi. C’è ancora qualche infisso sgangherato e addirittura le tracce di qualche vetro. All’interno si intravedono numerosi camini per il riscaldamento.

Il resto sono veri e propri capannoni, qualche struttura per le cabine elettriche e i serbatoi di approvvigionamento dell’acqua. Anche questi però discretamente lavorati, non fosse altro, con la pietra a vista. I dintorni (anche questa è una caratteristica comune di tutti villaggi minerari) sono abbelliti da una piccola pineta, che si distingue nettamente dalla macchia comune circostante. Ma più che per il senso estetico il legno serviva per gli usi industriali e per riscaldarsi. L’abitato era asservito alla vicina miniera di Sedda Moddizis, che è stata in piena attività a cavallo tra l’ottocento e il novecento. Vi si estraevano piombo, zinco e argento.

Avevo intenzione di proseguire verso Gonnesa, ma una enorme pozzanghera proprio davanti alla villa mi ha fatto desistere, ero solo e se mi si fosse spento il motore in mezzo a quella specie di Lago Vittoria, sarebbero stati cavoli amari. Ho cercato di aggirarla percorrendo altre strade ma qualcuna termina nel nulla. Col tempo il disuso ha fatto si che la macchia mediterranea si riprendesse ciò che gli era stato tolto dallo stupro industriale. Sono quindi tornato indietro per la stessa via dell’andata. Comunque ho chiesto ad alcuni cacciatori e mi dicono che il tracciato Asproni - Gonnesa, che ha una lunghezza praticamente identica, è in condizioni ancora peggiori. Lo constaterò con una prossima gita, questa volta a piedi.

Vedere quelle case abbandonate mi ha fatto piangere il cuore. Oggi si fa un gran parlare di riciclaggio, per fortuna. Riutilizziamo il vetro la carta, la plastica e perfino i componenti elettronici. Possibile che non si possano riciclare anche le case e interi paesi? Eppure le destinazioni ci sarebbero: strutture di ricezione estiva per i ragazzi, case di riposo, agriturismo. Leggo che il villaggio è diventato proprietà privata di un noto medico di Iglesias, se sarà capace di farlo rivivere ne sarò contento e gli faccio i migliori auguri.

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