L'isola delle volpi azzurre


Il grande merito di Cristoforo Colombo non fu certo quello di scoprire l’America, dal momento che all’arrivo la trovò già abitata, da genti che in qualche modo c’erano evidentemente arrivate prima di lui. Fu piuttosto quella di renderla nota al mondo civilizzato, ma soprattutto di fargli prendere atto che le terre emerse erano ben più vaste di quelle conosciute fino a quel momento. Ma fu solo un attimo se lo considera nella lunga storia delle esplorazioni. I popoli europei già da un pezzo scorrazzavano per mezzo mondo a caccia di nuove ricchezze e di traffici commerciali. E’ proprio il caso di dire mezzo, perché dall’estremo occidente europeo le carovane terrestri, o le spedizioni navali, arrivavano ormai fino in Cina. L’ampiezza di un emisfero, appunto.

Per Colombo fu questione di poco, fu certamente ardito e coraggioso ma anche fortunato, cercando per primo di andare dalla parte opposta allontanandosi dalle terre conosciute, verso l’ignoto. Solo una trentina di anni dopo un altro ardito, Magellano, dimostrò una volta per tutte che la terra non solo era rotonda, cosa già nota ma non dimostrata, ma che era possibile circumnavigarla. Purtroppo, ironia della sorte, proprio lui non poté stupirsi di questa nuova scoperta perché morì durante il viaggio, che venne però completato dai pochi superstiti della sua spedizione.
Da quel momento in poi la smania delle scoperte geografiche non ebbe più freno e si avvio la globalizzazione. Ma se bastarono solo trent’anni perché dal primo passo di Colombo si completasse il giro, per avere un’idea più o meno esatta della vastità del nostro pianeta, ce ne vollero ancora molti. L’Australia ad esempio fu scoperta oltre cento anni dopo Colombo. Ogni esploratore ha scritto il suo pezzo di storia, ma soprattutto di geografia.
L’isola delle volpi azzurre è la cronaca di una di queste imprese. Non è la più importante e anzi una delle meno note, ma certamente fu la più lunga e dispendiosa. Lo zar Pietro I di Russia, detto il Grande, si era messo in testa di emancipare il suo enorme impero, portandolo al livello delle nazioni europee più evolute. Per fare questo era necessario prima di tutto “inventariare” i suoi domini e i suoi popoli, dei quali aveva ben poca contezza. Voleva inoltre lanciare il suo paese nella corsa alle scoperte geografiche e alle conseguenti conquiste economiche. Nei primi anni del suo regno dunque andò in giro tra Olanda e Danimarca e sbirciare le arti marinaresche. Arrivando al punto di farsi assumere in incognito da un cantiere navale, per imparare, con le proprie mani, l’arte delle costruzioni navali. Era talmente conscio dello stato di avanzamento delle altre potenze in quel campo, che affidò ad un danese, Vitus Bering, il compito di progettare, organizzare e condurre un’impresa senza precedenti: l’esplorazione dell’estremo oriente della Siberia, e di accertare se tra l’Asia e l’America ci fosse o no soluzione di continuità. Ovviamente spinto più dalla sete di conquista e guadagno, che non dal mero interesse scientifico. Anche lui morì ben prima di vedere i risultati di quella spedizione, ma fortunatamente i suoi successori ebbero l’accortezza di proseguire il progetto, ampliandolo.
L’impegno di Bering e le sue spedizioni durarono per diciassette anni, tra il 1724 e il 1741. Anche lui morì miseramente, di scorbuto, senza vederne la fine, ad un passo si può dire dal traguardo. La realizzazione del progetto comportò il trasporto delle attrezzature e materiali non producibili sul posto, da San Pietroburgo alla Kamčatka, la penisola più orientale della Siberia, lungo oltre novemila chilometri di lande desolate prive di strade, in una delle zone più fredde del pianeta. Immaginate ancore, catene, cordami, vele, abbigliamento, cibi armi e bagagli, trasportati con bestie da soma e chiatte lungo fiumi spesso controcorrente e valicando catene montuose. Una volta a destino furono costruite tre navi col legname del posto.
Raggiunto lo scopo la Russia mise piede sul suolo americano colonizzando una buona fetta dell’Alaska. Il risultato di tanti sforzi non arricchirono solo la scienza, ma anche le tasche degli avventurieri che seguirono. A spese ovviamente come sempre, delle popolazioni indigene e di numerose specie animali da pelliccia, che furono avviate in alcuni casi all’estinzione. Il libro L’isola delle volpi azzurre è tuttavia una cronaca dettagliata e avvincente di una conquista epica. Scoprire il perché del nome di quell’isola, che divenne poi isola di Bering come l’omonimo stretto, per giusto riconoscimento degli esploratori che seguirono, vale da solo la lettura. Piuttosto corposo ma abbastanza scorrevole.
Nel 1867 gli Stati Uniti riuscirono ad acquistare l’Alaska dalla Russia. Buon per loro, perché dopo soli cinquant’anni non gliela avrebbero mai venduta, a nessun prezzo.

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