Lavori socialmente utili


Una mattina di tanti anni fa, sono uscito di casa e ho visto una squadra di operai intenti a scavare una serie di buche lungo il ciglio della strada. Non ho potuto fare a meno di chiedere cosa stesero facendo, e mi risposero con un sintetico e poco compromettente “lavori socialmente utili”. Nonostante qualche altro tentativo non riuscii a saperne di più, ma quella sera tornando a casa trovai una piacevole sorpresa. Ognuno di quei buchi era stato riempito con un giovanissimo alberello di Pino Marittimo. Dopo qualche altra indagine presso vicini ed amici, scoprii che era stata un'iniziativa del Comune. Stanziando un po' di soldi avevano dato una volta tanto a quel “lavori socialmente utili” un doppio significato: un po' di lavoro retribuito a chi ne aveva bisogno e realizzato un'opera di pubblica utilità. Che per quanto modesta, sarebbe diventata col tempo notevole.
Dopo pochi anni arrivò una brutta e devastante alluvione, ma gli alberelli per quanto fossero ancora molto giovani, resistettero rimanendo al loro posto, anche se piegati e maltrattati. All'alluvione fecero seguito maldestri e frettolosi tentativi di porvi rimedio. Quando i buoi erano già scappati, arrivano i Vigili del Fuoco, la Protezione Civile, l'Esercito, gli Scout e frotte di volontari. Tutti armati di buona volontà e per questo non finirò mai di ringraziarli, ma forse ben poco e mal coordinati. Con loro arrivano le ruspe, una di queste cominciando dall'inizio del filare di pini, li abbatte senza pietà e senza sforzo. Tira giù con disinvoltura anche due o tre lampioni, che non sono mai più stati ripristinati. Uscii di casa abbastanza alterato a chiedere spiegazioni. Immaginate con che stato d'animo dopo che la natura mi aveva devastato la casa e mezza vita di risparmi.
“Ma come ? L'alluvione non ha fatto abbastanza? Vi ci mettete anche voi?”
Mi spiegarono che era necessario spianare un'area per raccogliere alla rinfusa le masserizie sparse in giro, che poi sarebbero state rimosse e smaltite con più calma. Tutto questo evidentemente con la tecnica del fai uno e rompi due.
Mi diedero un contentino salvando cinque alberelli, ai quali inevitabilmente mi affezionai. Li raddrizzai alla belle meglio dotandoli di un tutore di sostegno. Tutte le mattine li vedevo, crescere un giorno dopo l'altro, dalla finestra della camera da letto. Finché hanno raggiunto la bella altezza di circa dodici metri. Da quella brutta alluvione sono passati sedici anni. Nel frattempo sono stati ipotizzati dagli esperti, discussi e ridiscussi, progettati ed approvati da altri esperti, i lavori di messa in sicurezza della zona. Ma ancora non sono stati ultimati, infatti mentre scrivo sento il rombo delle ruspe.
Viene fuori che si sono sbagliati tracciando l'ingombro del nuovo argine e dovranno spostare la strada di qualche metro. A scapito tra l'altro della sicurezza della strada stessa. Ovviamente fare l'argine qualche metro più in la non avrebbe cambiato nulla, dato che in quel punto la sezione del nuovo alveo, è larga circa 80 metri. Così quasi di nascosto e alla garibaldina, hanno buttato giù le ultime piante superstiti. Ci sono volute solo due ore per estirpare, fare a pezzi e portar via, cinque piante che avevano impiegato vent'anni a dare un po' di naturalezza, ad un paesaggio ormai più simile alla luna che alla madre terra.

Commenti

Post popolari in questo blog

Egregio Comandante

Toquinho

Sulla scia degli Abbagnale